Roma, avanti si sgombera. Il Comune chiude l’Angelo Mai a sua insaputa
È sconcertante che il vice-sindaco Luca Bergamo, e assessore alla cultura della città di Roma, non sapesse che ieri mattina il dipartimento al patrimonio ha ordinato di apporre i sigilli, all’Angelo Mai, laboratorio di produzioni teatrali e musicali, spazio regolarmente assegnato, e vincitore di prestigiosi premi come l’Ubu-Franco Quadri, una gemma politica autogovernata e co-produttrice con il Teatro di Roma (Tdr) di spettacoli e progetti coreografici.
La motivazione ufficiale è un provvedimento datato il 23 settembre 2016 con il quale il Comune disponeva la riacquisizione dell’immobile contro il quale gli attivisti dell’Angelo Mai fecero ricorso. Bergamo ha detto di avere appreso la notizia dalle agenzie stampa che hanno ripreso i tweet e i video postati da un centinaio di attori, registi, cantanti, attori, cittadini e militanti dei centri sociali romani accorsi subito dopo che vigili, Digos e operai sono entrati senza preavviso. Bergamo ha anche chiesto la «sospensione» del provvedimento di sequestro per «fare le necessarie e opportune valutazioni». Nel pomeriggio è stata concessa per tre settimane.
Non ci sono motivi per non credere al vicesindaco della Capitale. Il problema è che un dipartimento agisca senza che il vertice del Campidoglio sappia. È il segno, inquietante, di una politica ispirata a un tacere amministrando dove tutto procede con apparenti automatismi. Non è così: è un sistema di governo in cui i tagli agli enti locali vanno di pari passo con la spinta a privatizzare, gentrificare e monetizzare le risorse a partire dagli immobili. Una strategia feroce che ha travolto gli enti locali, e le giunte romane, in particolare, stritolate dalle richieste della Corte dei conti.
È nata da queste premesse la delibera 140 al tempo del centrosinistra (Marino) e perfezionata dal commissario Tronca: il più grande attacco alle esperienze di auto-governo e auto-gestione che Roma abbia mai subìto. In mancanza di una chiarezza su una precedente delibera approvata dalla giunta Rutelli 23 anni fa, a centinaia di spazi sociali il canone è stato ricalcolato al 100%, diversamente da quello «sociale» definito nel 1995. Di punto in bianco realtà come il Celio Azzurro, la casa internazionale delle donne, la scuola popolare di musica di Testaccio, centri sociali come la Torre, atelier come l’Angelo Mai, sono stati considerati «morosi» per milioni di euro.
La Roma indipendente si è mobilitata contro la repressione amministrativa per difendere l’immensa ricchezza prodotta dalla cooperazione sociale. Un’epica battaglia grazie alla quale la Corte dei conti ha riconosciuto l’inesistenza del «danno erariale» per il bilancio commissariato della Capitale.
L’insonnolita giunta Raggi avrebbe dovuto agire almeno un anno fa, portando a termine il regolamento sul «patrimonio indisponibile» promesso alla rete «Decide Roma» con l’aggiunta di una delibera che avrebbe impedito atti come quello di ieri. Ma non è accaduto. Per essere efficaci le «valutazioni» di Bergamo dovrebbero portare all’approvazione di atti politici concreti, e irreversibili, richiesti tra l’altro dalla sinistra cittadina (Fassina per «sinistra x Roma» e Amedeo Ciaccheri candidato al Municipio VIII).
Il Pd cittadino ha attaccato i Cinque Stelle, ma forse ha dimenticato il modo, non brillantissimo, in cui ha affrontato lo stesso problema quando era al governo. La Cgil di Roma-Lazio, con la segretaria Tina Balì, ha chiesto un incontro a Bergamo e una «soluzione idonea» al problema degli spazi sociali. A difesa dell’Angelo sono intervenuti Maurizio Acerbo (Rifondazione) e la senatrice di LeU Loredana De Petris.
«Siamo stati saldati fuori Roma» è l’immagine efficace usata ieri da Silvia Calderoni, attrice simbolo dei Motus – una delle compagnie teatrali italiane pià innovative che a Roma fa base all’Angelo Mai. «Noi non chiuderemo mai, sia chiaro» hanno ribadito gli attivisti che hanno costruito un laboratorio dalle macerie di una bocciofila nel parco di San Sebastiano, all’inizio della via Appia antica, vicino alle Terme di Caracalla.
FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
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