Brasile, l’ex presidente Lula resta in cella, ma l’Onu apre un’indagine

Brasile, l’ex presidente Lula resta in cella, ma l’Onu apre un’indagine

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Che Lula possa uscire dal carcere prima delle presidenziali di ottobre sembra ormai escluso. Rimandata la discussione sulla costituzionalità dell’arresto dei condannati in secondo grado dopo l’appuntamento elettorale, la Corte Suprema non lascia alcuno spiraglio: come ha spiegato il ministro del Supremo tribunale federale Gilmar Mendes, il discorso sulla carcerazione di Lula «può considerarsi chiuso».

NON È CHIUSO però per il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, che martedì ha annunciato ufficialmente l’avvio di indagini sulle violazioni delle garanzie fondamentali di cui sarebbe vittima l’ex presidente brasiliano.
Incurante di alimentare nuove polemiche, il potere giudiziario ha intanto sottratto all’operazione Lava Jato l’intoccabile candidato del Psdb (Partito della socialdemocrazia brasiliana) Geraldo Alckmin, accusato di aver ricevuto dalla Odebrecht tangenti pari a 10,7 milioni di reais, e rimesso in libertà, per iniziativa proprio di Gilmar Mendes, l’intermediario finanziario – sempre del Psdb – Paulo Preto, ex direttore della Dersa (un’impresa di infrastrutture stradali) per le cui mani sono passati 130 milioni di reais di tangenti: gli è bastato, per ottenere l’habeas corpus, lasciar intendere di essere disposto a coinvolgere esponenti del suo partito.

AD ALIMENTARE LA SENSAZIONE che il Psdb goda di protezioni speciali è lo stesso Sergio Moro, il quale dopo essere apparso in foto tutto sorridente a fianco del senatore socialdemocratico Aécio Neves, non solo è stato fotografato di nuovo, e sempre di ottimo umore, accanto al sindaco di São Paulo João Doria, ma ha anche preso parte a New York a un evento promosso dal Gruppo Lide, di proprietà della famiglia Doria.
Tuttavia, è chiaro che il Psdb un problema ce l’ha, e non è irrilevante: non ha trovato ancora un candidato in grado di aspirare con successo alla presidenza del Paese.

L’ULTIMO SONDAGGIO del Cnt/Mda è al riguardo impietoso, mostrando come Lula, dopo oltre un mese dal suo arresto, possa contare ancora sul 32,4% delle preferenze, contro il 16,7% di Jair Bolsonaro, il 7,6% di Marina Silva, il 5,4% di Ciro Gomes e appena il 4% del socialdemocratico Alckmin, peraltro l’unico di questo gruppo a contare sul sostegno delle forze golpiste. Non solo: il 25,6% dei brasiliani è disposto a votare solo Lula e il 90,3% degli intervistati ritiene che la Giustizia non agisca in maniera imparziale.

Alla luce di questi dati risulta senz’altro più complicato contestare al Pt la scelta – criticata anche all’interno del partito – di continuare a puntare fino alla fine sulla candidatura di Lula, rinunciando alla ricerca di un sostituto nel caso più che probabile che l’ex presidente non possa prendere parte alle presidenziali. Se è vero che la legge Ficha Limpa (che proibisce ai condannati in secondo grado di presentarsi alle elezioni) prevede la sospensione dell’ineleggibilità in presenza di ricorsi «plausibili» (come sono certamente quelli di Lula), il Tribunale supremo elettorale sta già pensando a una contromossa: quella di respingere d’ufficio la stessa iscrizione della candidatura dell’ex presidente, senza cioè attendere eventuali impugnazioni e dare via al relativo processo.

MA NEPPURE IL RISCHIO dell’ennesima violazione della giurisprudenza in vigore può scoraggiare la presidente del Pt Gleisi Hoffmann, più che mai decisa a scartare qualunque «piano B», a cominciare da quello che prevede un possibile appoggio a Ciro Gomes, il pre-candidato del Pdt (Partito democratico del lavoro): «Se – afferma – Lula è innocente, se la maggioranza del popolo vuole votarlo, se alla luce della Costituzione i suoi diritti politici sono assicurati, per quale motivo dovremmo rinunciare a presentarlo come candidato? Significherebbe fare il gioco dei suoi persecutori».
Dal carcere lo stesso Lula è tornato sulla questione, spiegando la propria determinazione a candidarsi alle presidenziali: «Altrimenti vorrebbe dire che sto riconoscendo di aver commesso un crimine. Ma non l’ho commesso. Per questo resto candidato finché la verità non appaia sui giornali, finché procura e magistratura non provino la mia colpevolezza o smettano di mentire».

A SOSTEGNO dell’ex presidente scendono in campo anche sei ex capi di governo europei – Hollande, Prodi, D’Alema, Letta, Di Rupo e Zapatero -, i quali hanno diffuso un manifesto in cui, denunciando «l’affrettato arresto» di Lula, chiedono che possa liberamente prendere parte alle elezioni di ottobre.

FONTE: Claudia Fanti, IL MANIFESTO

photo: Par Antonio Cruz (Agência Brasil) [CC BY 3.0 br (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/br/deed.en)], via Wikimedia Commons



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