Giorgio ha scoperto l’eroina nei bagni della scuola. Ha la voce roca ma il fisico d’atleta. Braccia forti, catenina al collo. Viene da Fidenza e brucia via una sigaretta dietro l’altra.
«Perché? Non lo so. Così. Da cretino. In famiglia avevo tutto, affetto, benessere. Ma la droga è ovunque, non scampi. Basta avere 5 euro in tasca. Un mio amico fumava eroina durante la ricreazione, ho provato, mi piaceva e ci sono finito dentro. A 17 anni mi si è spenta la vita, dovevo bucarmi ogni giorno, non avrei mai pensato di rubare ai miei genitori, invece per comprarmi una dose ero disposto a tutto, mentivo, ingannavo. Ho perso gli anni più belli, il mio lavoro, la mia ragazza, ero sempre più solo, oggi mi faccio schifo, ma la verità è che quando sei un tossico la tua unica compagna è la droga». Giorgio si emoziona, Davide gli dà una pacca sulla spalla. Raccontarsi fa male, come prendersi a pugni in testa.
«Qui però ho riscoperto la passione per il disegno», dice. Ed è un lampo di speranza.
In comunità per salvarsi
I ragazzi fanno girare i vassoi del pranzo, fusilli al sugo, cotolette e frutta. Sono giovanissimi e tossici. Entrati in comunità che erano poco più che adolescenti. Ci sono Marco e Lara, gli educatori. Hanno un sorriso che rassicura, di chi sa mettere le mani nel dolore. Fuori, nel giardino della comunità di recupero La Torre di Modena fa caldo ma l’aria è leggera. Una vecchia cascina, i prati ben curati, la casa delle mamme in disintossicazione. Stanno lì con i loro bambini. Lottano per guarire.
Perché potrebbero perderli quei figli e lo sanno. Giorgio lavora duro, dissoda, toglie erbacce, semina, suda. «Meglio sfogarsi zappando che pensare alla roba».
Roberto ha 18 anni, lavora in lavanderia, tira di boxe, è diventato maggiorenne in comunità, adora la musica, fumava hashish in seconda media, ha una faccia da bambino ma la fedina penale già sporca e un curriculum tossico pesante come un macigno: «Ho iniziato con le canne come tutti, poi alle superiori ho scoperto la cocaina, mi piaceva da matti quell’effetto di concentrazione per andare a mille, mi faceva anche prendere bei voti. Mica è facile resistere quando in ogni posto in cui vai ti offrono droga: in classe, alle feste, la sera se esci con gli amici.
Metamfetamine, acidi, cannabis, Md, Spice, in giro c’è tutto, è un supermarket che costa niente.
“Cali” e i problemi te li scordi. Non riuscivo più a fermarmi, pompavo, spingevo, ero pazzo… Così per calmarmi sono passato all’eroina.
Nove mesi fa i miei genitori mi hanno portato qui. Non riuscivo a guardarli negli occhi. Soltanto quando sei lucido capisci quanto male ti sei fatto e quanto male hai fatto. Gli ho spezzato il cuore. Ho perso la ragazza, gli amici, l’amore. Adesso spero di non ricaderci più. E di tornare a fare il pugile».
Noi, la generazione perduta
Roberto, Davide, Andrea, Mohammed e gli altri: hanno rubato, mentito, sofferto, spacciato, assediati essi stessi da un mercato capillare che s’infiltra ovunque, dalle scuole medie agli oratori, dai campi di calcetto alle palestre. Hanno 18, 22, 23 anni. I loro nomi sono inventati, le loro storie drammaticamente vere. Il lato disperato della generazione Z. Hanno passato l’astinenza tra crampi e dolori, insonnia, tremori, nausea. Scivolati nell’abisso della dipendenza quando erano adolescenti con vite (quasi) normali, finiti nella tenaglia di un mercato feroce che oggi punta addirittura ai bambini. Perché, dicono, “sballare costa quanto la paghetta di una settimana”. Prezzi stracciati, dosi al prezzo di un “Big Mac”. Il tariffario, ascoltando i ragazzi, è uno spaventoso discount di stupefacenti: «Con 5 euro puoi fare tre fumate di eroina, una dose in vena ne costa 10, quanto tre spinelli, mentre una pasticca di ecstasy non supera i 15, una di Lsd meno di 20 euro così anche la ketamina, la cocaina ce l’hai per 50 euro al grammo».
Bisogna allora partire da qui. Dalla pace di questa cascina alle porte di Modena che ispira al pensiero del fondatore del Ceis don Mario Picchi. Per raccontare le storie di un’emergenza sepolta nel silenzio delle istituzioni. Ossia il crescente esercito di adolescenti policonsumatori di alcol e droghe, ragazzini normali che oggi affollano le comunità di recupero.
Lara Gussoni, psicologa, li conosce uno a uno, un po’ come fossero figli. «Alcuni si salvano, altri no. Troppo fragili. Ma noi tentiamo di recuperarli tutti».
Davide ha iniziato a drogarsi mentre faceva uno stage da cuoco. Maglietta verde militare, capelli castani, muscoli da palestra, diploma all’Alberghiero. Un bel ragazzo. Oggi ha 22 anni e divora libri. Arriva da Bologna. È determinato. «L’ansia la sento qui, nel petto, non mi lascia mai. Ho scelto io di venire in comunità.
Voglio uscire dalla dipendenza a tutti i costi. Vorrei indietro la mia vita, una ragazza, un lavoro.
Bevevo e fumavo spinelli fin dalle scuole medie per superare la mia timidezza. ma dalle droghe pesanti mi ero tenuto lontano. Poi ho avuto l’occasione di mettermi alla prova come cuoco. Lavoravo come un matto, ero sous chef.
Finalmente contavo. Volevo che mio padre lo sapesse. Per resistere a quei ritmi ho iniziato a tirare cocaina. Soffrivo, ero lontano da casa. In cucina c’erano dei ragazzi che si bucavano. Ho provato anch’io e ho scoperto che l’eroina mi copriva tutti i pensieri. Non ho più smesso. Ora però so di poter vincere».
Le morti annunciate
Riccardo Gatti, psichiatra, è uno dei più famosi esperti di tossicodipendenza in Italia. Dirige l’area dipendenze dell’azienda sanitaria “Santi Paolo e Carlo” di Milano. Le stagioni della droga le ha viste tutte, dai morti di Aids ai ragazzini scoppiati dalle pasticche del sabato sera. Ha la passione (e la stanchezza) di chi pur nella trincea dei servizi pubblici, ancora crede nel recupero e riduzione del danno. Ma il suo monito è severo: «Mentre siamo circondati da vecchie sostanze che non costano più nulla e da una valanga di sostanze sconosciute che devastano i giovanissimi, rischiamo una epidemia di morti per droga come negli anni Settanta».
«La politica ci ha dimenticati — denuncia Gatti — invece siamo in una quiete che prelude alla tempesta. Negli Stati Uniti nell’ultimo anno sono morti di overdose più americani che in tutta la guerra del Vietnam. I killer sono i derivati da oppiacei, come il Fentanyl, farmaco che gira anche nel mercato clandestino europeo.
E quello che accade negli Stati Uniti prima o poi sbarca da noi.
Davanti a un liceo sono stati fermati spacciatori che vendevano ossicodone ai ragazzini, un potentissimo oppiaceo chiamato la droga dei guerriglieri…».
Marco e Lara, la speranza
Andrea, 23 anni, di Modena, ha gli occhi azzurri e la voce che trema.
Lo sguardo indifeso. Si vergogna di dire che il primo spinello glielo hanno offerto i genitori. «L’eroina mi ha tolto l’anima. La prendevo per uscire dalla timidezza, ne sento il richiamo fortissimo anche qui dentro. La sostanza mi fa delirare, uccide i pensieri belli e li fa diventare brutti. Facevo gare di ciclismo, sono risultato positivo al doping,mi hanno buttato fuori. La bici era il mio sogno, ma la droga ha vinto».
«Dai Andrea, forza». È fragile e Marco lo sa. Marco Sirotti, psicoterapeuta, coordina l’area dipendenze delle comunità Ceis tra Parma e Bologna. «Quando arrivano da noi sembrano vecchi a 18 anni, hanno già provato tutto, gli antidepressivi, la cocaina, la ketamina, l’eroina, per non parlare delle sostanze sconosciute. La droga costa niente, quale adolescente non ha in tasca dieci o quindici euro di paghetta? E poi lo spaccio è ovunque e punta ai più piccoli». Ci sono ancora, è vero, i grandi “mercati della morte”, il bosco di Rogoredo a Milano, Tor Bella Monaca a Roma, Scampia a Napoli, ma per il resto gli “zoo di Berlino” sono frantumati in un pulviscolo inafferrabile di zone franche di consumo e vendita.
Mohammed ha 18 anni, i capelli rasati con il ciuffo dritto, arriva da Pordenone, ha calpestato tutti i vicoli di un’adolescenza tossica e oggi lotta insieme agli altri per riprendersi la giovinezza. Deve fare l’esame di terza media. Ride: «Non è che mi vada troppo di studiare, però sono bravissimo a fare hip-hop. A 10 anni mi sono fatto la prima canna, a 15 ero già dipendente da cocaina. In casa mi davano un sacco di botte allora uscivo e facevo risse, furti… Sono marocchino, tra i miei compaesani spacciano in tanti. Sono scappato da una comunità, qui invece con Marco, Lara mi sento bene, spero di farcela, in fondo sono giovane».
E la loro giovinezza esplode quando tutti insieme attaccano una indiavolata partita a biliardino. Non più ragazzi bruciati ma ragazzi e basta.
Metadone e psicoterapia
Ma quanti sono? E chi cura questa nuova generazione di tossicodipendenti minorenni che i Sert inviano alle comunità di recupero? I numeri sfuggono e così i “protocolli” di recupero.
«Per questi giovanissimi la vecchia comunità chiusa degli anni Ottanta non regge più», ammette Sirotti. «Nei nostri centri le porte sono aperte e i percorsi non sono superiori ai 12/15 mesi. Come fai a “chiudere” un adolescente?
Usiamo farmaci, il metadone se serve, si lavora, si fa psicoterapia, ma soprattutto puntiamo sulla rieducazione e sulla presa di coscienza. Costringere serve a poco, il proibizionismo ha fallito.
La salvezza arriva dalla motivazione, questa è la sfida».
Eroina e “Nps”, nuove sostanze psicoattive: sono queste le droghe che oggi fanno strage. Sono 17mila i ragazzi italiani che sniffano o si iniettano oppiacei più di 10 volte al mese, 50mila quelli che hanno provato pasticche o cristalli sconosciuti. «Noi, nei Sert, gli eroinomani, i cocainomani, sappiamo come curarli. Abbiamo invece le armi spuntate — dice Gatti — rispetto a questi nuovi micidiali composti sintetici che bruciano il cervello. Dai pronto soccorso arrivano dati di ragazzini completamente sconvolti da overdose di droghe che nessuno conosce». Mix che portano alla pazzia, un esercito di consumatori che alla dipendenza ormai somma la patologia psichiatrica.
L’Addiction center
Allora basta spostarsi verso Milano, nelle campagne intorno a Lacchiarella, dove gli utenti sono più grandi. E ascoltare Rocco, 28 anni, tossico da dieci, che sta provando a ricostruirsi una vita nell’Addiction Center, comunità specializzata nel “policonsumo”, gestita dal Cnca. Una grande casa di campagna, le galline, l’orto.
Rocco: «In un giorno riuscivo a farmi anche sette tipi di droga diversi, la mia famiglia è ricca, alle feste butti giù roba che nemmeno conosci, girano un sacco di farmaci, Xanax, Tavor, Valium, ansiolitici, antidepressivi. Le dosi se vuoi arrivano a casa, come fosse Foodora… L’offerta è pazzesca. Ma è a scuola che tutti noi abbiamo cominciato. Vi prego, intervenite lì».
Carla è bella e fragile. Ha 30 anni.
Te la racconta, piangendo, come fosse una brutta canzone d’amore. «Il mio uomo si faceva, mi portava nelle crack-room di Barcellona, l’ho seguito nella sua strada di morte». Youssef ha 19 anni, la faccia appassita, è arrivato da bambino senza genitori dall’Egitto. Sulle spalle ha una condanna e un mucchio di sogni infranti. «Quando spacciavo nel bosco di Rogoredo era pieno di ragazzini di 13, 14 anni che compravano fumo, pasticche, eroina con 5 o 10 euro. Addirittura mi chiedevano come usare quella “roba”, come farsi un buco. Oggi dico che quel bosco è l’inferno».
Fonte: Maria Novella De Luca e Giulia Santerini, LA REPUBBLICA
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