Che cosa dice l’accordo europeo sui migranti

Che cosa dice l’accordo europeo sui migranti

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Cosa cambia dopo il difficile compromesso sull’immigrazione raggiunto al vertice di Bruxelles? Chi condurrà (se continueranno) i soccorsi in mare fin qui operati dalle navi delle Ong? Dove sorgeranno (se ci sarà il via libera dei singoli Paesi Ue) gli «hotspot» per l’identificazione di migranti e richiedenti asilo? Quanti «Paesi terzi» accetteranno di ospitare le piattaforme di sbarco» extra Ue? E, infine, perché l’Italia non si è accodata a Spagna e Grecia che hanno stretto un accordo separato con la Germania sui «movimenti secondari» dei richiedenti asilo?

Navi delle Ong a secco

Contro i trafficanti di esseri umani, dice il testo, l’Unione europea «continuerà a sostenere l’Italia e altri Stati membri in prima linea» e, con ulteriori stanziamenti, «rafforzerà il suo sostegno alla regione del Sahel e alla guardia costiera libica…». Il documento non cita espressamente i battelli dei volontari delle Ong, ma sottolinea che «tutte le navi che operano nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non devono ostacolare le operazione della Guardia Costiera libica». Spiega il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk: «Le Ong devono rispettare la legge e non interferire nelle attività» dei mezzi ufficiali del Paese africano.

A questo si aggiunge la contestuale chiusura dei porti maltesi e italiani per le navi delle Ong che operano il soccorso in mare (ieri il vicepremier Matteo Salvini ha annunciato una circolare d’intesa con il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli): significa che i battelli delle organizzazioni non governative non potranno più rifornirsi di cibo, acqua e carburante nel Mediterraneo centrale.

Piattaforme extra-Ue

L’«esternalizzazione» degli approdi dei migranti, ventilata anche in Italia ma ancora non realizzata in una solida cornice Ue, guarda al Marocco, all’Algeria, alla Tunisia, alla Libia e all’Albania. Paesi terzi, che, in cambio di una contropartita finanziaria dovrebbero accogliere temporaneamente i naufraghi salvati nel Mediterraneo in strutture in cui poi sia possibile operare una selezione tra «migranti economici» e richiedenti asilo. Nel documento conclusivo del vertice di Bruxelles, al punto 5, la questione è posta in questi termini: si «invitano il Consiglio e la Commissione a esaminare rapidamente il concetto di piattaforme di sbarco regionali, in stretta cooperazione con i Paesi terzi interessati e con l’Unhcr e l’Oim. Tali piattaforme dovrebbero agire operando distinzioni tra i singoli casi, nel pieno rispetto del diritto internazionale e senza che si venga a creare un aspetto di attrazione».

Alcuni «Paesi terzi», comunque, si sono messi di traverso: «Il Marocco respinge l’ipotesi della Ue di esternalizzazione dei centri di accoglienza», ha detto il ministro degli Esteri Nasser Bourita al suo omologo spagnolo. Mentre il vice premier del governo di Tripoli, Ahmed Maitig, lo aveva rappresentato direttamente al nostro ministro dell’Interno, Salvini: «La Libia rifiuta categoricamente i campi per l’accoglienza e l’identificazione dei migranti».

Hotspot nella Ue

Il fallimento annunciato del tentativo di esternalizzare sull’altra sponda del Mediterraneo i campi di accoglienza e di identificazione per i migranti (hotspot) ha indotto i partner della Ue a trovare un compromesso. Dalla proposta sollecitata dall’Italia di creare obbligatoriamente «centri» in ogni Paese si è arrivati ai «centri» allestiti su base volontaria dai singoli Paesi seppur finanziati dalla Ue: «Sul territorio dell’Ue, coloro che vengono salvati… dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso, attraverso il trasferimento in centri controllati istituiti dagli Stati membri solo su base volontaria…». E questo vuol dire che se gli hotspot li faranno solo Spagna, Italia e Grecia non cambierà molto nella dinamica del regolamento di Dublino III. Cioè rimarrà intatto il principio secondo cui il Paese di primo ingresso in Europa è responsabile della domanda di asilo.

Italia fuori dal patto a 3

Spagna e Grecia, a margine del vertice, hanno stipulato due distinti accordi bilaterali con la Germania per riammettere nei rispettivi territori i richiedenti asilo identificati in futuro dalle autorità tedesche al confine tra Austria e Germania che sono segnalati dall’Eurodac (il data base europeo delle impronte digitali). Come contropartita, la Germania accoglierà gradualmente i casi di ricongiungimento familiare dei richiedenti asilo sbarcati in Grecia e in Spagna che hanno parenti in Nord Europa. L’accordo separato, dunque, non riguarda l’Italia che per le «relocation» rimane ancorata al quadro generale introdotto nell’agenda Ue dall’accordo del 2015, l’anno dell’impennata degli sbarchi, che in qualche modo ha provato ad «addolcire» la rigidità di Dublino III.

Ricollocamenti al palo

Il meccanismo dei ricollocamenti sottoscritto da tutti i partner della Ue — 40 mila richiedenti asilo sbarcati in Grecia e in Italia da ricollocare solo nel 2015 pro quota nei Paesi membri — è inceppato perché anche allora si parlava di «azioni su base volontaria» senza prevedere sanzioni. I ricollocati dall’Italia, finora, sono stati 13 mila con un rifiuto categorico del Patto di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) di cedere. A Bruxelles, dopo la chiusura dell’accordo sui centri di identificazione finanziati dalla Ue se «aperti» su base volontaria, il premier ceco Andrej Babis ha osservato: «Gli hotspot dentro l’Europa non sono il modo di affrontare la questione…». Il Patto di Visegrad (al quale il ministro Salvini strizza l’occhio) è ampiamente soddisfatto per l’esito del vertice di Bruxelles. Anche se poi, spiega il vice premier ceco, «se anche oggi i centri di identificazione italiani vengono trasformati in hotspot europei, certo ci sarà un sostegno in termini di soldi… Ma non è il modo giusto per combattere i trafficanti».

FONTE: Dino Martirano, CORRIERE DELLA SERA



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