Figline Valdarno, Bekaert vuole chiudere, in 300 occupano la fabbrica

Figline Valdarno, Bekaert vuole chiudere, in 300 occupano la fabbrica

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La multinazionale belga accampa problemi finanziari nella gestione dello stabilimento, e intanto ne apre un altro in Brasile. Il Mise convoca per martedì i sindacati e i vertici aziendali.

FIRENZE. Fabbrica occupata dopo l’annuncio della chiusura e l’invio delle lettere di licenziamento per i 320 addetti. Lavoratori in assemblea permanente, con i sindaci del Valdarno superiore accorsi ai cancelli di via Petrarca, insieme ai segretari toscani dei sindacati confederali. E una doppia interrogazione parlamentare di Leu con Roberto Speranza e Nicola Fratoianni, a cui il ministero dello Sviluppo economico ha risposto chiamando a un incontro, martedì prossimo, i sindacati e i vertici societari. Nuvole nerissime sulla Bekaert di Figline, che da queste parti in tanti continuano a chiamare Pirelli, padre industriale nobile che decenni fa aveva costruito il grande stabilimento dedicato alla produzione di rinforzi in acciaio per i pneumatici, gli steel-cord.

Nel 2014 la fabbrica era passata di mano, non senza preoccupazioni dei lavoratori, dei sindacati e delle istituzioni locali. Nell’occasione la multinazionale belga Bekaert, che in Italia si occupa appunto della produzione e della vendita di rinforzi in acciaio per i pneumatici, oltre che di prodotti per l’edilizia e di altri semilavorati con i fili d’acciaio, aveva comunque sottoscritto un accordo con cui si impegnava per quattro anni a mantenere il sito produttivo e la forza lavoro impiegata, che oggi ammonta a circa 320 addetti diretti, più un altro centinaio nell’indotto.
Già lo scorso anno era scattato un primo segnale d’allarme, spento grazie a un nuovo accordo al ministero che, sulla carta, assicurava il rilancio della fabbrica. Una delle tre appartenenti al gruppo Bekaert, che ha siti produttivi più piccoli ad Assemini nel cagliaritano, e a Milano. Nell’aprile scorso però non erano stati rinnovati 23 contratti a tempo determinato, per lavoratori attivi nello stabilimento da oltre un anno. E quando i rappresentanti sindacali di Fiom, Fim e Uilm, allarmati per l’automatico calo produttivo, avevano chiesto al management quali fossero le strategie industriali, non avevano ottenuto risposte soddisfacenti.
Una trasferta a Bruxelles dei sindacalisti Daniele Calosi e Iuri Campofiloni, entrambi della Fiom, era stata utile fra l’altro per certificare che l’operazione di acquisizione del business del cavo in acciaio di Pirelli, da parte di Bekaert, era stata approvata dalla Commissione europea, che l’aveva dichiarata “compatibile col mercato, e utile a creare sinergie positive per entrambi i soggetti”. In parallelo i vertici della Bekaert, convocati al Mise, avevano tranquillizzato istituzioni e sindacati, confermando il buon andamento dei volumi produttivi, i rapporti di committenza con la Pirelli, e i progressi di tre progetti innovativi.
Ieri invece la multinazionale ha annunciato la chiusura, entro 75 giorni, della fabbrica. “A causa dei suoi costi strutturali notevolmente superiori rispetto a quelli degli altri stabilimenti di rinforzi in acciaio per pneumatici di Bekaert nella regione Emea (Europa, Medio Oriente e Africa, ndr), il sito non è stato in grado di generare performance sostenibili dal punto di vista finanziario. La direzione non vede alternative per salvaguardare e rafforzare la propria posizione nei mercati europei”.
Di avviso opposto le istituzioni locali, Regione in testa. Con i consiglieri regionali di Sì–Toscana a sinistra, Tommaso Fattori e Paolo Sarti, che segnalano: “Bekaert ha comunicato la chiusura il giorno dopo aver annunciato un investimento pari a circa 25 milioni di euro per l’apertura di un nuovo stabilimento in Brasile, a Itaùna. Nel frattempo la borsa ha premiato la multinazionale belga che sale dello 0,8%. Sono gli effetti di un mercato globale senza regole, teso solo alla massimizzazione del profitto”. Mentre la Fiom chiede l’immediato ritiro della procedura di licenziamento e avverte: “I lavoratori sono furiosi, la loro età media è sui 50 anni, troppo giovani per andare in pensione, e troppo anziani per trovare nuove occupazioni”.

FONTE: Riccardo Chiari, IL MANIFESTO



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