I rider, lavoratori senza diritti. Su diecimila, l’80% non è assicurato
Li incroci spesso mentre ti tagliano la strada, ti sfiorano, si piazzano davanti ai semafori. Vanno di fretta, a cottimo, e ogni tanto ci scappa l’incidente, ma per loro niente Inail. All’ultimo gradino della scala del lavoro sono arrivati i rider. Sono i fattorini ingaggiati dalle piattaforme della gig economy. In Italia la Fondazione Debenedetti stima che siano 10 mila gli «invisibili».
Prendiamo una cena recapitata a casa. Il costo è di 30 euro. In realtà 21 finiscono al ristorante, nove alla piattaforma che ha agganciato l’ordine e gestito la consegna (il 30%). Di questi nove euro, quattro servono per pagare il lavoratore, quattro sono le spese di marketing e gestione. Alla fine, alla piattaforma questa consegna frutta un euro. A fare la differenza quindi è il valore del pasto: più è alto, più i ricavi aumentano. Oltre alla rapidità con cui si conquista un mercato: una volta che una piattaforma è affermata, può ridurre le spese di marketing. E allora, tornando al nostro esempio, dalla mia consegna potrà tenersi in tasca puliti quattro euro al posto di uno. Per il momento molte piattaforme lavorano in perdita. O chiedono una quota aggiuntiva per la consegna del pasto che arriva fino a tre euro.
L’affare della cena a casa
Di fatto siamo nel mezzo della guerra tra multinazionali del food delivery per accaparrarsi un mercato che in futuro promette ricchi margini. Le principali sono la tedesca Foodora, parte del gruppo Delivery Hero, presente in oltre 40 Paesi. Nel 2017 ha registrato ricavi per 544,2 milioni di euro. Ma è in perdita per 245 milioni di euro. Nel 2018 punta al pareggio con 740-770 milioni di ricavi. Poi Just eat, fondata in Danimarca nel 2000. Quotata dal 2014 a Londra, opera in 13 Paesi. Nel 2017 ha registrato un fatturato di 622 milioni di euro. Profitto prima delle tasse: 118 milioni di euro. Deliveroo è attiva in Italia dal novembre 2015 in 17 città attraverso la Deliveroo Italy srl, controllata dalla holding inglese Roofoods Ltd. Opera con il marchio Deliveroo in oltre 200 città in 12 Paesi. Non è quotata in Borsa e non diffonde informazioni su ricavi e utili/perdite. Glovo è nata a Barcellona nel 2015, opera nelle principali città spagnole, a Parigi, Roma e Milano. Consegna qualunque cosa, dalle chiavi dimenticate a casa alla spesa.
Quanto pagano
Il lavoro è organizzato da un algoritmo, e punta su un continuo turn over. Le condizioni e i compensi cambiano continuamente e variano anche da città a città. Non sono previste maggiorazioni per lavoro festivo, notturno, pioggia o neve. Mediamente le piattaforme «ingaggiano» il 20% di lavoratori più del necessario per tutelarsi rispetto alle defezioni dell’ultimo minuto.
Foodora assume cococo, li paga quattro euro lordi a consegna che vuol dire 3,60 netti. Deliveroo ingaggia collaboratori occasionali, li paga quattro euro netti a consegna; a fine 2018 spariranno invece i contratti che pagano a 5,60 euro netti l’ora più 80 centesimi a consegna. Just eat: ha collaboratori coordinati e continuativi, ma buona parte sono occasionali assunti tramite la società Food Pony, che paga 6,50 euro netti per ora di attività. Glovo ha collaboratori occasionali pagati 2 euro netti a consegna più 60 centesimi per chilometro percorso più cinque centesimi per ogni minuto di attesa al ristorante o in negozio sopra i primi cinque minuti.
Sicurezza e polizze
Compensi bassissimi e un problema di «sicurezza»; tra l’altro il cottimo spinge a prendersi qualche rischio in più. I pochi rider co.co.co hanno un’assicurazione pagata dal lavoratore per un terzo e dal datore di lavoro per due terzi. Per un fattorino che guadagna 600 euro al mese si tratta di versare circa 75 euro l’anno, mentre l’azienda ne metterà 150. Vuol dire che in caso di incidente è previsto un indennizzo come se fosse un dipendente.
Il problema maggiore nasce per i collaboratori occasionali (ex legge 276 del 2003), che sarebbero circa l’80% dei rider. In pratica 8.000 fattorini sono completamente privi di copertura. O si assicurano a spese proprie (e nessuno lo fa), o in caso di incidente non hanno diritto ad alcun risarcimento.
Deliveroo ha stipulato per i suoi rider un’assicurazione privata che «garantisce — oltre alla copertura per danni a terzi e a un’indennità temporanea durante le cure — 50 mila euro in caso di incapacità permanente. Stessa cifra per morte accidentale, più 3.000 euro per i funerali. Se il lavoratore fosse coperto dall’Inail, i risarcimenti — in caso di incapacità permanente — avrebbero sei zeri. L’assicurazione di Deliveroo prevede poi 12.500 euro per la perdita della vista da un occhio, 25 mila euro per la perdita di un arto o della vista. Poca cosa se comparata ai risarcimenti dei cococo con le stesse mansioni. Ma sempre meglio del nulla» che spetta agli occasionali di Glovo o Just Eat.
Che farà il ministro?
Ora la questione è sul tavolo del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, e dovrebbe essere affrontata proprio questa settimana. Ci sono delle idee, se vuole tenerne conto. Primo: fissare una retribuzione minima per legge per questi lavoratori, siano essi autonomi o dipendenti, applicando magari il contratto della logistica, che per i rider prevede 8,6 euro lordi l’ora, circa 7 euro netti. Secondo: l’obbligo di garantire la previdenza ai collaboratori occasionali, e un’assicurazione degna di questo nome. Sarebbe utile anche un registro dei rider, per avere una tracciabilità dei rapporti di lavoro. Inoltre: chiamare il mondo della ristorazione alle proprie responsabilità. Per esempio, McDonald’s ha stipulato un accordo con Glovo per la consegna dei suoi hamburger. Si sente coinvolta o disinteressata rispetto all’equo trattamento di quei rider?
Infine ricordiamo che le piattaforme virtuose esistono, ma vengono divorate dalle grandi perché non ce la fanno a stare sul mercato. Andrebbero «premiate» con qualche agevolazione e spazi pubblicitari. Il comune di Bologna lo sta già facendo.
FONTE: Milena Gabanelli e Rita Querzé, CORRIERE DELLA SERA
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