La nave Aquarius dirottata verso il porto spagnolo di Valencia

La nave Aquarius dirottata verso il porto spagnolo di Valencia

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È sera quando la nave Aquarius, ferma in mezzo al Mediterraneo a nord di Malta, completate le operazioni di trasferimento della maggior parte dei migranti su altre due navi della Marina militare italiana, inizia la traversata verso il porto di Valencia in Spagna. Il mare porta cattivo tempo e Medici senza frontiere emette un comunicato in cui ringrazia tutte le persone che proprio ieri sera, per la seconda giornata consecutiva, esprimono la loro solidarietà contro la chiusura italiana dei porti alle imbarcazioni delle ong che fanno soccorsi in acque internazionali a nord della Libia.

«Welcome refugees» è lo striscione che, proprio mentre la Aquarius accende i motori verso la Spagna, gira in molte piazze e strade d’Italia: da Rimini a Brescia, da Pisa a Napoli, dove hanno sfilato almeno mille persone con striscioni imbrattati di vernice rosso sangue sulle bandiere della Lega e del Movimento Cinque Stelle e a Milano dove si è tenuto un rumoroso presidio in piazza della Scala.

«Ringraziamo profondamente tutti quelli che in queste ore difficili hanno espresso solidarietà verso la nave Aquarius e gli ospiti a bordo», scrive Medici Senza Frontiere su Twitter, sottolineando il fatto che ci siano «manifestazioni e presidi in tutta Italia». «Grazie perché siete un incoraggiamento e una grande speranza». Ringraziamenti particolari ai sindaci disponibili ad aprire i porti delle loro città, con nome e cognome: Luigi De Magistris (Napoli), Leoluca Orlando (Palermo), Filippo Nogarin (Livorno), Rinaldo Melucci (Taranto), Renato Accorinti (Messina), Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria), Ugo Pugliese (Crotone), Antonio Gentile (Sapri), Massimo Zedda (Cagliari), Giacomo Tranchida (Trapani), Michele de Pascale (Ravenna).

Segue una considerazione amara, che ci ripete al telefono anche l’antropologa Sophie Beau, co-fondatrice e vice presidente dell’associazione marsigliese SoS Méditerranée proprietaria della nave Aquarius, su cui è imbarcata.
«Circa cinquecento persone sono state trasferite sulle navi militari, qui ne sono rimaste un centinaio, quelle più fragili». Ci sono a bordo sette incinte, tra cui una minore, 11 bambini piccoli e neonati, alcuni recuperati con sintomi di ipotermia e sindrome da annegamento che sono stati aspirati, una quindicina di naufraghi che presentano ustioni chimiche dovute alla prolungata esposizione al mix di carburante e acqua salata e hanno bisogno di medicazioni continue dallo staff medico di Msf.

«Fortunatamente sono tutti stabili, nessuno rischia la vita anche se soffrono e avrebbero bisogno di strutture mediche più attrezzate di una nave», dice Sophie Beau. Per loro soprattutto Msf nel suo comunicato di ieri sera continuava a rivendicare l’approdo in uno scalo meno lontano di Valencia, in Italia o a Malta. «Sì – conferma Sophie – sarebbe stato l’ideale ma andremo a Valencia, scortati, siamo obbligati a farlo. Dopo vorremmo tornare quanto prima in area Sar ma la Spagna è così lontana che, incluso le operazioni in porto e il rimessaggio e lavaggio della nave, non potremo essere operativi prima di una decina di giorni».

Dieci giorni senza la nave più grande e attrezzata, con un inutile spreco di risorse pubbliche, per l’impiego di due navi della Marina, e private per le 1.500 miglia marittime in più da percorrere. E intanto nel tratto di Mediterraneo tra l’Italia e la Libia restano solo due navi delle ong in aera Sar: Sea Watch 3 e Sea Eye. Mentre la nave della catalana Proactiva Open Arms, in cantiere dopo il sequestro e il dissequestro della procura di Catania, sarà pronta a ripartire solo il 18 giugno, come ci conferma il capitano Riccardo Gatti.

Ieri la Sea Watch 3 era stata contattata da una nave militare Usa per una operazione di «rescue». Gli americani avevano tratto in salvo 41 migranti di un gommone che aveva fatto naufragio a largo della Libia. Il gommone si era capovolto e sul fondo giacevano 12 corpi senza vita. Ma la nave della ong tedesca non li ha potuti imbarcare, non avendo un porto sicuro vicino garantito. «Loro sì, i militari possono, i porti sono chiusi solo a noi delle ong», chiarisce Gatti.

I militari non danno fastidio ai traffici.

FONTE: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO



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