Si vota in Turchia, in tv c’è soltanto Erdogan, il monitoraggio è autogestito

by Dimitri Bettoni | 23 Giugno 2018 10:16

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ISTANBUL. Alla vigilia del voto in Turchia, alcuni numeri ci raccontano qualcosa di queste elezioni indipendentemente dall’esito che avranno. Raccontano il controllo che Erdogan intende esercitare sul voto e quello che già vanta sui media del paese.

Ihlan Tasci, esponente dell’opposizione nel Consiglio supremo per la radiotelevisione, organo che monitora i media in Turchia, ha lanciato su Twitter una tabella che suona come una sentenza: sulla rete pubblica Trt, il presidente uscente Erogan ha goduto di 181 ore di esposizione, di cui 66 ore sul canale Trt6 che trasmette in lingua curda.

E l’opposizione? Muharrem Ince del partito repubblicano Chp: meno di 16 ore. Meral Aksener del partito di destra Iyi: tre ore. L’islamista Temel Karamollaoglu? Un’ora e mezza. In coda il candidato Hdp Selahattin Demirtas: 32 minuti per lui e neanche uno in lingua curda.

Nel panorama dei media privati la situazione non migliora: dopo la recente acquisizione dei media del gruppo Dogan da parte della holdig Demiroren si stima che oltre il 90% dei media sia legato a Erdogan.

Numeri interessanti anche nel rapporto della missione Osce di alcuni giorni fa. Ad esempio, quello delle schede elettorali. Alle urne andranno 59 milioni di cittadini per eleggere parlamento e presidenza. Significa 118 milioni di schede.

Eppure il Consiglio elettorale supremo ha disposto di stampare 154 milioni di schede, 36 in eccesso, giustificando che ciascuno dei 54.700 seggi ha in dotazione per legge 400 schede extra, indipendentemente dai votanti registrati. Anche così, ballano 14 milioni di schede in più. Numeri che hanno fatto alzare il livello d’allarme tra chi teme brogli.

Osce ha mobilitato un esercito di osservatori: 12 ad Ankara e 22 nel paese dal 29 maggio scorso, 350 osservatori aggiuntivi per il giorno delle elezioni. Due di questi però sono stati respinti, i parlamentari svedese Jabar Amin e tedesco Andrej Hunko. Noti per la loro vicinanza al movimento curdo, sono stati bloccati dalle autorità turche perché simpatizzano con il Pkk. L’Osce ha protestato con una nota: «Il paese che invita Osce a monitorare le elezioni non può direttamente o indirettamente influenzare la composizione della missione».

Tra i fermi alla frontiera si segnala anche quello del giornalista italiano Lorenzo Bianchi del Quotidiano Nazionale, fermato all’aeroporto Ataturk e rispedito in Italia mentre entrava su invito dell’Hdp, per scoprire di essere diventato persona non desiderata.

A contrastare il tetro scenario c’è un’effervescente società civile che si mobilita per assicurare al voto di domani trasparenza e legittimità. Da quattro anni l’associazione Oy ve Otesi monitora i seggi elettorali in buona parte del paese e quest’anno punta ad avere almeno 50mila persone distribuite nelle 81 province. Un’iniziativa in sinergia tra partiti, sindacati e movimenti è la Piattaforma per la Sicurezza Elettorale, costituita da 17 diverse sigle tra cui i quattro i maggiori partiti d’opposizione.

Nel mondo dei media spicca l’iniziativa della rete di giornalismo partecipativo Dokuz8Haber, che con l’hashtag #sendennehaber? (che mi racconti?) ha annunciato di aver stabilito un centro media dedicato alle elezioni e aperto a cittadini e giornalisti per contrastare la manipolazione delle informazioni grazie a centinaia di collaboratori in tutta la Turchia. Conclusa la campagna elettorale, la battaglia si sposta nei seggi, dove si decide il destino della democrazia turca.

FONTE: Dimitri Bettoni, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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