Copyright, l’Europarlamento boccia e rinvia la riforma
Con 318 voti favorevoli, 278 contrari e 31 astenuti la riforma del diritto d’autore è stata respinta e rinviata alla seduta plenaria del 10-14 settembre a Strasburgo dal parlamento europeo. Tutti i gruppi politici si sono spaccati davanti agli articoli 11 e 13 contestati da oltre 380 tra studiosi, accademici, tra cui Tim Berners-Lee, pioniere del Web; Jimmy Wales, cofondatore di Wikipedia, Brester Kahle, fondatore dell’Internet Archive; da petizioni da un milione di firme; dagli unicorni della rete Google o Facebook.
IL VOTO HA DIVISO le delegazioni e i singoli partiti: il Ppe, di cui fa parte il relatore Voss, si è spaccato tra 24 parlamentari contrrari ai negoziati con il Consiglio sulla base del testo approvato dalla commissione giuridica (Juri). Nella stessa situazione si sono trovati i Socialisti e Democratici, divisi. Efdd e i Cinquestelle hanno votato contro, ma tre eurodeputati si sono espressi a favore. Nell’Enf i leghisti erano contrari, ma nel gruppo di destra ci sono stati parlamentari che hanno votato in maniera opposta. I Verdi/Ale hanno votato in maggioranza contro, ma sei deputati, tra cui i francesi José Bové e Karima Delli, si sono schierati a favore. Divisi i liberali dell’Alde: maggioranza per il no, ma il capogruppo Guy Verhofstadt ha votato sì. I conservatori dell’Ecr hanno votato in maggioranza contro, 16 favorevoli. La sinistra della Gue/Ngl si è espressa in maggioranza per il no, quattro deputati che hanno votato sì e un astenuto. Barbara Spinelli della Gue/Ngl ha votato contro; non ha partecipato al voto Curzio Maltese.
LE CONTESTAZIONI riguardano l’articolo 11, approvato con un solo voto di scarto dalla commissione giuridica, che introduce una «tassa sui link» alle notizie. Gli editori potrebbero esigere il pagamento di diritti dalle piattaforme online e dagli aggregatori di notizie. L’articolo 13 applica un controllo preventivo- o «filtro» – ai contenuti digitali caricati su piattaforme come Youtube, social network o siti collaborativi affinché non violino il copyright. Tale controllo è stato giudicato come una forma di censura preventiva perché renderebbe le piattaforme – con scarsa capacità di distinguere la natura dei contenuti controllati – responsabili per eventuali violazioni del diritto d’autore dei contenuti che ospitano. «Questo articolo fa un passo in avanti verso la trasformazione di Internet da una piattaforma aperta alla condivisione e innovazione a strumento di sorveglianza automatizzata e controllo degli utenti» si legge nella lettera dei pionieri e architetti del Web. Più che altro un colpo a una realtà già compromessa dalle piattaforme proprietarie.
SONO FEROCI le critiche di segno contrario al rinvio del provvedimento da parte degli editori, e non solo. «Una pagina nera nella storia del nostro Continente destinata, se non si recupera un testo equilibrato, a umiliare la cultura, la creatività, l’economia» ha detto Confindustria Radio Televisioni. «Ci auguriamo che il dibattito riprenda senza dover subire pressioni dovute a posizioni demagogiche» sostiene la Siae. Gli editori della Fieg denunciano il rischio di orientamenti che danneggiano i loro investimenti quelli europei sono contrari alle interferenze delle grandi multinazionali sul voto del parlamento. Di parere opposto è Wikimedia Italia che sostiene Wikipedia e ha oscurato il sito dell’enciclopedia libera per protesta: «È una vittoria della rete libera – sostiene il portavoce Maurizio Codogno – La decisione consente di aprire nuovamente la discussione sul testo della direttiva».
SUL LATO ITALIANO impazza la polemica, vertiginoso è il gioco delle parti. Ciascuna è convinta di difendere le ragioni del «popolo» e dei «lavoratori» contro l’avversario. La battaglia contro «la link tax» è stata amplificata dal ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio – lo stesso che promette 30 minuti gratis di Internet al giorno, al resto ci pensa il mercato. Di Maio considera il voto di ieri come la «prova che qualcosa sta cambiando nell’Ue» e conferma che il governo pentaleghista è contrario al «diritto per i grandi editori di autorizzare o bloccare l’utilizzo delle loro pubblicazioni» e al controllo dei contenuti su Internet. Dichiarazioni attaccate dalle opposizioni, a partire da Pd e Forza Italia che, come le organizzazioni confindustriali, criticano una presunta sponda del governo alle multinazionali Usa «contro i lavoratori». Uno scenario da post-verità in cui tuttavia sussistono i problemi del capitalismo digitale.
FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
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