Crisi argentina. La parola di Macri ormai più svalutata del “peso”

Crisi argentina. La parola di Macri ormai più svalutata del “peso”

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Non potrebbe risultare meno gradita la presenza della direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde in Argentina per la riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche centrali del G20.

Contro il prestito da 50 miliardi di dollari concesso al paese dal Fmi – per il popolo argentino da sempre sinonimo di sciagura – e più in generale contro la politica economica di segno ferocemente neoliberista applicata dal governo Macri, organizzazioni sindacali e movimenti popolari sono già da due mesi sul piede di guerra.

Così, con l’arrivo a Buenos Aires di Lagarde – la quale, dopo essersi riunita con il presidente Mauricio Macri, il ministro delle Finanze Nicolás Dujovne e il presidente della Banca centrale Luis Caputo, ha ribadito il suo «sostegno» al piano economico del governo – il popolo argentino è sceso nuovamente in strada, promuovendo manifestazioni e marce di protesta e indirizzando alla direttrice del Fmi una dura lettera sottoscritta da 10mila persone della società civile organizzata, tra cui il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, Estela Carlotto delle Abuelas de Plaza de Mayo e Taty Almeida delle Madres de Plaza de Mayo Línea Fundadora.

Una lettera in cui i firmatari sottolineano come, «ad eccezione del governo», non vi sia praticamente nessuno in Argentina a sostenere un accordo totalmente privo di ogni «legittimità giuridica, politica e sociale» come è quello firmato dal Fmi con l’amministrazione Macri e avvertono che «il programma economico imposto produrrà una catastrofe sociale». Per quanto il presidente abbia definito l’accordo «sostenibile economicamente, socialmente e politicamente», nonché necessario per far fronte alla svalutazione del peso e al vertiginoso aumento dell’inflazione (con conseguente aumento delle bollette di luce e gas addirittura del 1000% nei due anni di governo Macri), il popolo argentino sa infatti fin troppo bene cosa questo significhi in termini di misure di aggiustamento fiscale e di rinuncia alla sovranità nazionale, per di più in un paese decisamente in recessione.

Il nuovo sbarco del Fmi in Argentina non può infatti non evocare nella popolazione l’incubo del’esplosione sociale del 2001, quando, dopo un decennio di applicazione delle più rigide ricette dell’organismo, il paese si ritrovò sprofondato nella peggiore crisi economica della sua storia. E quello che maggiormente preoccupa, come ha rimarcato Juan Martín Carpenco della Confederación de Trabajadores de la Economía Popular (Ctep), è «la velocità» con cui sembra delinearsi uno scenario dello stesso tipo: «Basta camminare un po’ per le strade di Buenos Aires – ha spiegato Carpenco – per rendersi conto della quantità di gente che dorme sui marciapiedi. Persone che fino a poco tempo fa avevano una casa e che ora vivono in strada con i loro mobili, le loro poltrone e i loro quadri. E che si rivolgono alle mense comunitarie spinte dalla fame».

Non è un caso allora che sia salita al 75% la percentuale della popolazione che valuta negativamente l’operato dell’amministrazione Macri, rimproverandogli una completa cecità verso la crisi alimentare, lavorativa, educativa e sanitaria.

A dimostrazione di come, dopo la netta vittoria governativa alle elezioni di medio termine dell’ottobre 2017 (per il rinnovo di un terzo del Senato e della metà della Camera dei deputati), la luna di miele degli argentini con il presidente sia ormai giunta al capolinea.

È dunque in questo quadro che la Confederación General del Trabajo (Cgt) – in una conferenza stampa convocata per ribadire la mancanza di consenso sociale da parte dei lavoratori organizzati sull’accordo con il Fmi – ha lanciato l’allarme sul rischio di apertura di «un fronte di conflitto infinito». Per concludere che «la parola del presidente appare più svalutata del peso argentino».

* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO



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