by Rachele Gonnelli | 4 Luglio 2018 8:58
Maglietta rossa il 7 luglio «per fermare l’emorragia di umanità», rossa come quella che portava Ailan Kurdi, naufrago di tre anni in quella foto sulla spiaggia di Bodrum che commosse il mondo intero tre anni fa, rossa come quelle che le madri mettono ai bambini prima di salire sui gommoni perché siano più visibili, come quella che indossavano i tre bambini morti nel naufragio della settimana scorsa su cui si è accesa una sporca operazione di fake news.
L’invito a mettere tutti una maglietta di questo colore il prossimo sabato viene da un appello congiunto agli italiani di Anpi, Libera, Arci e Legambiente, come segnale individuale e collettivo contro le politiche italiane di chiusura ai migranti. «Perché il rosso è il colore che ci invita a sostare, ci chiede di fermarci, di riflettere, e poi d’impegnarci e darci da fare», è scritto nel testo dell’appello.
Don Ciotti, ma oggi c’è un popolo in grado di ricordare, di avere compassione e solidarietà per le vicende dei migranti? Sembra che nessuno voglia più vedere la povertà e la richiesta di aiuto…
Se c’è un popolo che dovrebbe ricordare è il nostro, che ha avuto una recente, imponente storia di immigrazione fatta anche di sofferenze, di fatiche, di umiliazioni, di “no” sbattuti in faccia. C’è un deficit di cultura e di memoria che si traduce -non solo in Italia, beninteso – in un deficit di sensibilità. Ma dobbiamo anche analizzare e denunciare quello che sta a monte delle paure, dei pregiudizi, dei razzismi e dei fascismi che riemergono: le disuguaglianze sociali, la perdita e il degrado del lavoro, un’economia che il Papa ha definito senza mezzi termini “di rapina” e “ingiusta alla radice”. Le grandi migrazioni sono in buona parte deportazioni indotte. Nessuno abbandona terra, casa e affetti se non costretto da povertà e guerre di cui l’Occidente è in gran parte responsabile.
E in Europa? Si esternalizzano le frontiere, si alzano muri e fili spinati, si pagano governi autoritari e corrotti perché incarcerino i migranti. Proposte che vengono per lo più dai Popolari: sono queste le radici cristiane dell’Europa?
L’autentico cattolicesimo affonda le radici nel Vangelo, nel suo spirito e nella sua Parola, che è Parola di accoglienza, di dignità, di pace e di giustizia. Non ci si può dire cristiani e poi alzare muri, costruire comunità chiuse ed esclusive, selezionare e scartare i compagni di viaggio. Per dirsi cristiani bisogna stare, come Gesù, dalla parte dei poveri, dei deboli, degli oppressi e dei discriminati, altrimenti si fanno soltanto parole. Il cristiano non può restare inerte di fronte alle ingiustizie di questo mondo, deve guardare il Cielo senza trascurare le responsabilità che lo legano alla Terra.
Chiudere i porti alle navi delle ong umanitarie è stato già minacciato nel precedente governo, adesso è stato fatto, quando c’era ancora la campagna elettorale per le amministrative. Durerà? Cosa potrebbe succedere?
Il dovere di accoglienza e di soccorso sono la base della civiltà, un dovere scritto nelle coscienze prima che nei codici. Se viene meno questo dovere, l’emorragia di umanità rischia di essere inarrestabile. L’appello a indossare le magliette rosse è un appello a fermarci, a riflettere, a guardarci non più allo specchio ma in profondità e chiederci cosa abbiamo fatto della nostra umanità e che mondo stiamo consegnando ai giovani, ai figli, ai bambini.
Non ci sarebbe bisogno di una manifestazione di disobbedienza civile più forte, di gesti di indignazione e rivolta alla Danilo Dolci? O di assemblee e seminari che creino una cultura alternativa diffusa come fu il Social forum di Firenze?
La parola indignazione è abusata e inappropriata. In questi casi bisogna parlare di disgusto, quel disgusto che risveglia le coscienze e le salva da una passività che le rende complici. Certo le assemblee, i gesti e i segni sono importanti (Danilo Dolci su questo è stato un maestro) ma poi bisogna organizzare il dissenso, trasformarlo in progetto e speranza. Noi nel nostro piccolo lo stiamo facendo con la rete “Numeri Pari”, attiva in tante parti d’Italia sui temi della povertà e dell’ingiustizia sociale. Il cambiamento ha tre presupposti: la continuità, la condivisione, la corresponsabilità. In un’epoca di abuso di parola – con le conseguenze che conosciamo: slogan, semplificazioni, manipolazioni – il vero cambiamento passa dai fatti, dal loro linguaggio silenzioso ma chiaro e profondamente vero.
FONTE: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO[1]
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