Dopo il vertice Ue. Patto con 14 Paesi sui migranti, così Merkel cerca di salvarsi

by Tonia Mastrobuoni | 1 Luglio 2018 17:25

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Chiusa un’emergenza, quella europea, Angela Merkel è tornata a Berlino per risolvere quella più insidiosa, la sua crisi interna con Horst Seehofer. Ma nella fretta di presentare al suo ministro dell’Interno un risultato che disinnescasse la minaccia di respingere i profughi ai confini, la cancelliera sembra aver commesso un errore. Venerdì sera, Merkel ha chiamato al telefono i capi del suo partito e ha rivelato di aver sottoscritto un accordo con 14 Paesi europei, pronti a riprendersi profughi già registrati nei loro confini. Un risultato che sembra effettivamente ottimo, perché si aggiunge all’intesa già annunciata nel corso della giornata attraverso un comunicato ufficiale, con la Spagna e la Grecia, più o meno con lo stesso obiettivo. E che dimostra la capacità di Merkel di serrare i ranghi, in Europa, di riunire ancora più della metà dei Paesi dietro di sé con una promessa difficile, quella di riprendersi i profughi. Tanto più se tra i 16 Paesi figurano ben 3 dei 4 “ribelli” dell’Est Europa, ossia Repubblica ceca, Polonia e Ungheria.

Ma l’accordo, che Merkel racconta in 8 pagine di documento, ha due difetti. Il primo, è che contiene 14 preaccordi: il documento parla di “ Zusage”, di “ assenso” a stringere intese. Tanto che la Repubblica ceca si affretta a smentire: «smentiamo totalmente, niente di tutto ciò è stato negoziato » . Poco dopo, dall’Ungheria, arriva qualcosa che somiglia a una puntualizzazione: « Non abbiamo raggiunto intese » , precisa Zoltan Kovacz, storico portavoce di Orban.
Una fonte governativa tedesca conferma l’esistenza di veri e propri «accordi per la restituzione dei rifugiati» nel caso di Spagna e Grecia. Mentre puntualizza che con gli altri 14 Paesi ci sono dichiarazioni di intenti: «Hanno espresso la disponibilità a negoziare un accordo per migliorare la collaborazione nella restituzione dei rifugiati secondo l’articolo 36 dell’accordo di Dublino».
In sostanza, per fare in modo che un profugo che arrivi in un Paese non si sposti poi altrove. Ma la stessa fonte ammette che «la Repubblica ceca ha ritirato questa disponibilità » . C’era, dunque, ma Praga l’ha voluta negare a tutti i costi per non scatenare polemiche interne. Al netto di Ungheria e Repubblica ceca, gli altri 12 Paesi disposti a limitare i cosiddetti “flussi secondari” sono Polonia, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Olanda Portogallo e Svezia.
L’altro nodo che rende più fragile il documento è l’assenza dell’Italia, il Paese attraverso il quale passano la stragrande maggioranza dei profughi che arrivano in Germania. Un argomento che ieri sera, nell’atteso faccia a faccia tra la cancelliera e Seehofer, il ministro dell’Interno non avrà mancato di farle pesare.
Il documento di Merkel, però, sembra voler andare incontro al capo della Csu anche in altri passaggi. Anzitutto stabilisce che i rifugiati che siano passati per altri Paesi vengano portati nel “ centri di ancoraggio” tanto voluti da Seehofer ( dei mostruosi mega- centri dove i profughi dovrebbero restare per il periodo dell’esame della richiesta di asilo).
Nel caso delle intese già sottoscritte con la Spagna e la Grecia, Merkel è andata persino un passo oltre. I rifugiati già registrati nei due Paesi verrebbero rispediti «nei pressi del confine», insomma, in modo molto simile a quanto immaginato da Seehofer.
Altro dettaglio: Merkel vuole mandare poliziotti tedeschi alla frontiera bulgara. Proprio per impedire che i profughi non vengano registrati in uno dei Paesi di arrivo. Difficile pensare che l’Italia acconsenta a una misura del genere. La cancelliera promette anche una stretta sui visti e controlli maggiori anche ad altri confini, se necessario.
La Csu ha mandato qualche segnale di apertura nei confronti di Merkel, ma non ha ancora sciolto del tutto le riserve. Il D- day per la cancelliera è oggi, quando il suo partito e quello di Seehofer esamineranno i risultati del vertice europeo. E decideranno se andare allo scontro frontale o meno.

Fonte: Tonia Mastrobuoni, LA REPUBBLICA[1]

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  1. LA REPUBBLICA: http://www.repubblica.it/

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