Fausto Bertinotti: “Non si attaccano gli uomini sul personale ma per cosa rappresentano”

Fausto Bertinotti: “Non si attaccano gli uomini sul personale ma per cosa rappresentano”

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TORINO. Fausto Bertinotti, perché il dramma umano di Marchionne non ferma chi manifesta rancore verso di lui?

«Questa purtroppo è una delle conseguenze della fine della politica. I partiti di un tempo ordinavano la discussione pubblica e le ponevano dei limiti.

Non si attaccava mai qualcuno sul piano personale. Si discuteva di ciò che le persone rappresentavano.

Si discuteva del capitalista, dell’imprenditore, del padrone.

Ma non si attaccava mai la persona. Anche perché questo avrebbe significato mettere in secondo piano l’analisi sulla società, che poi era quella che ci interessava».

Vale anche per lo slogan «Agnelli, Pirelli, ladri gemelli»?

«Certo che vale anche per quel famoso slogan. Agnelli e Pirelli in quel caso erano dei simboli, non delle persone in carne e ossa».

Parliamo dell’imprenditore Marchionne. Si chiude un ciclo durato 14 anni. Qual è il suo giudizio?

«A mio parere Sergio Marchionne rappresenta la transizione dal capitalismo del Novecento italiano a quello della globalizzazione. Lui stesso ha avuto due diverse fasi».

A che cosa si riferisce?

«Ho in mente il discorso che fece all’Unione industriale di Torino credo nel 2006. Un discorso importante, direi di impronta olivettiana. Spiegava che i lavoratori sono la vera ricchezza il vero valore aggiunto di un’azienda».

Secondo lei dopo ha cambiato idea?

«Ha cambiato atteggiamento quando ha accettato di portare l’azienda in una dimensione globale, in una dimensione post-novecentesca. Quando Fca è diventata globale è la finanza che ha finito per prevalere sul lavoro.

Con quella operazione Marchionne ha fatto uscire l’azienda dalla civiltà del lavoro del secondo Novecento».

Ma quella non era l’unica strada per salvarla? Se fosse rimasta nella dimensione precedente non sarebbe fallita?

«Capisco che il mio possa sembrare un ragionamento di altri tempi. Ma penso che la strada della globalizzazione, dell’azienda che diventa una comunità in lotta contro altre aziende-comunità, non sia ineluttabile. Lo è perché manca la dimensione della politica e manca una politica in grado di pensare un diverso modello di sviluppo. Nonostante tutti i limiti del modello attuale, compreso il fatto che dal 2000 a oggi Fca in Italia ha ridotto i suoi dipendenti fino ai 29 mila di oggi».

Veramente un’alternativa si vede. È il sovranismo, il nazionalismo dei dazi e delle frontiere. Non è peggio?

«È una deriva rischiosissima, una replica subalterna e nazionalistica alle difficoltà. E questo accade perché il modello del capitalismo globalizzato non è in grado di fornire le garanzie che aveva promesso».

Come si esce da questo schema?

«Ridando al lavoro la sua centralità. Per farlo occorre che la politica torni a dire la sua, non si arrenda di fronte alle ineluttabili leggi della finanza. Ma non ho molte speranze».

* Fonte: Paolo Griseri, LA REPUBBLICA



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