Gli stranieri salvano i conti dell’Inps con i lavori umili e più figli

by MARCO RUFFOLO | 5 Luglio 2018 12:36

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Immigrati e legge Fornero: la polemica tra il presidente dell’Inps e il vicepremier Matteo Salvini non è nuova: un anno fa esplose quando Tito Boeri dedicò gran parte della sua relazione proprio all’apporto che gli immigrati assicurano al sistema previdenziale italiano.

Oggi si riaccende inevitabilmente alla vigilia della controriforma pensionistica che la Lega ha inserito nel contratto di governo.
Si riaccende anche perché in un contesto politico non certo favorevole agli immigrati, sostenere che senza il loro contributo le pensioni italiane non saranno più tanto sicure, viene letto dal governo a trazione leghista come una vera dichiarazione di guerra.
Ma come stanno le cose? Quanto costa smantellare la riforma Fornero? E siamo certi che sarà smembrata? Infine, in che misura il flusso migratorio netto aiuta e aiuterà i nostri conti previdenziali?
Fino a poche settimane fa, la riforma Fornero, quella che ha innalzato l’età pensionabile a 67 anni dal 2019, abolito le pensioni di anzianità e accelerato il passaggio al sistema contributivo, somigliava molto al “ saracino della giostra”.
L’obiettivo della maggioranza era uno solo: farla a pezzi. E sostituirla con un’altra. Per tutti, uscire dal lavoro prima, sarebbe stato possibile con il sistema delle “ quote”: 100 anni tra età e contributi, oppure 41 anni di lavoro indipendentemente dall’età. Insomma, sarebbe stato possibile per esempio andare in pensione a 60 anni con 40 di contributi. Poi però il Tesoro è andato a vedere quanto sarebbe costata la promessa del Carroccio: 20 miliardi. E al ministero dell’Economia si è acceso il semaforo rosso. Così l’economista Alberto Brambilla, l’esperto di pensioni che la Lega vorrebbe affiancare a Di Maio al Welfare o mettere al vertice dell’Inps al posto di Boeri, si è rimesso a fare i conti e ha prodotto una controriforma meno ambiziosa: 5 miliardi.
Primo step della retromarcia: non si potrà per ora andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età; la misura sarà probabilmente rinviata di un anno. Secondo: alla fatidica “ quota cento” si potrà arrivare solo con un’età di 64 anni, e quindi con 36 anni di contributi.
Ma non è finita. Chi vorrà utilizzare questo anticipo, dovrà rinunciare a qualcosa. Se nel 1995, anno della riforma Dini, il lavoratore aveva almeno 18 anni di contributi, e quindi ha potuto godere fino al 2011 del sistema retributivo, gli verrà ricalcolata la pensione sulla base del sistema contributivo ( cioè in base ai contributi versati) per il periodo tra il 1996 e il 2011. Quindi subirà una decurtazione. Infine, viene posto un limite di due anni ai contributi figurativi che entrano nel calcolo. Tutte queste limitazioni ridurranno la spesa dai 20 miliardi iniziali a 5. Boeri parla di 8 miliardi, ma probabilmente non considera il ricalcolo contributivo e il tetto ai contributi figurativi.
Il problema, però, è che con queste limitazioni, la convenienza stessa dei lavoratori a optare per la riforma targata Lega si ridimensiona non poco.
« In media — spiega Stefano Patriarca, a capo della società di ricerca Tabula — il ricalcolo in base ai contributi equivale a un taglio tra l’ 8 e il 12%. Che penalizza soprattutto chi dopo aver maturato 18 anni di contributi nel 1995 ha poi avuto molti vuoti contributivi » . Dunque precari e donne innanzi tutto. Il costo, a questo punto, è assolutamente paragonabile a quello che si sosterrebbe aderendo all’Ape volontaria, ossia all’anticipo pensionistico a pagamento già in vigore: il 15% al massimo.
Gli immigrati: Boeri, rispondendo a Salvini, spiega che anche se risalisse il tasso di natalità, ciò non basterebbe ad arginare il calo di popolazione in età lavorativa nei prossimi 20 anni. Il flusso di immigrati non può essere ridotto. Ogni anno versano 8 miliardi di contributi e ricevono in cambio prestazioni per 5 miliardi. Se si azzerassero i flussi, di qui al 2040 lo Stato perderebbe 38 miliardi. Dalla Ragioneria arriva la conferma: proprio il prevedibile calo del saldo migratorio netto nei prossimi decenni a 150 mila persone l’anno, contribuirà ad alzare la spesa pensionistica dal 15 al 16,5 per cento del Pil ( la Commissione Ue parla addirittura del 18,5% nel 2040). Una spesa destinata ad aumentare proprio perché non più coperta come prima dai contributi. Scordiamoci infine che in questo modo si allontanano gli “ irregolari”: i quali anzi aumentano del 3- 5% di fronte a ogni taglio del 10% degli immigrati regolari.

Fonte: MARCO RUFFOLO, LA REPUBBLICA[1]

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  1. LA REPUBBLICA: http://www.repubblica.it/

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