Il Fmi: con 60mila stranieri in meno all’anno la spesa salirebbe fino al 20% del Pil

by Enrico Marro | 5 Luglio 2018 12:51

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Che l’equilibrio della spesa pensionistica dipenda anche dai lavoratori immigrati regolari non è una fisima del presidente dell’Inps, Tito Boeri. Il flusso netto di migranti (saldo tra uscite e ingressi in un determinato Paese) è infatti uno dei fattori per l’elaborazione delle proiezioni di medio lungo periodo. Il rapporto tra spesa previdenziale e Prodotto interno lordo dipende anche dagli andamenti demografici, che significa non solo dal numero di italiani che nascono e muoiono ogni anno, ma anche, appunto, dal flusso netto di migranti. Che, se è positivo, contribuisce ad ampliare la base dei lavoratori dai quali si prelevano i contributi per pagare le pensioni, mentre accade il contrario se il flusso è nullo o negativo (sarebbe così se, per esempio, in un certo anno, non entrassero almeno tanti migranti quanti sono gli italiani che si trasferiscono all’estero, 114 mila nel 2016).

Gli studi

Se non si vogliono prendere i dati contenuti nel rapporto Inps presentato ieri dallo stesso Boeri, si può utilizzare uno studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio, autorità indipendente di valutazione dei conti pubblici. Lo studio, dal titolo «Le proiezioni di medio-lungo periodo della spesa pensionistica» ha il pregio di mettere a confronto tre diverse stime: la prima (Rgs) è quella della Ragioneria generale dello Stato presso il ministero dell’Economia; la seconda (Awg) è quella che sta alla base delle analisi della commissione europea; la terza (Fmi) è quella del Fondo monetario internazionale. Tutte e tre le proiezioni seguono un andamento analogo: c’è una fase di crescita del peso della spesa pensionistica in Italia in rapporto al Pil, che tocca il massimo intorno al 2040, e poi una fase di discesa (vedi grafico). «Tuttavia — sottolinea l’Upb — gli esercizi si differenziano sia per l’entità del picco nel 2040 sia per il punto di arrivo nel 2070». Rgs è la più ottimista, con una spesa che al massimo arriverà al 16,2% del Pil mentre il Fmi è il più pessimista (20,5% nel 2040 e ancora 15,7% nel 2070). Perché queste differenze?

Le proiezioni «utilizzano gli stessi strumenti analitici e lo stesso quadro normativo. Divergono invece, talvolta anche in misura marcata, le ipotesi demografiche e quelle economiche», spiega lo studio. Per quanto riguarda la demografia, «è proprio nella stima dei flussi migratori netti che si riscontrano le differenze più rilevanti; tale variabile è infatti soggetta a forte incertezza». Le proiezioni con un più alto flusso migratorio netto sono usate dalla commissione Ue, quelle col flusso netto più basso dal Fondo monetario. Le ipotesi economiche differiscono sul tasso di occupazione e sulla produttività. L’aumento dell’incidenza della spesa, comune a tutti gli scenari, avviene, nonostante le riforme delle pensioni, sia per la «persistenza degli effetti della crisi macroeconomica in termini di bassa produttività», spiega l’Upb, sia per il «peggioramento del quadro demografico riconducibile ai minori flussi migratori netti».

Le riforme

A determinare l’andamento generale della gobba pensionistica è, in una prima fase, l’uscita dal lavoro della generazione del baby boom. Poi, dopo il 2040, l’entrata a regime delle riforme e la fine della vita dei baby boomer, determineranno un calo della rapporto spesa previdenziale-Pil. Questi fattori sono comuni a tutte le stime, mentre «differenze significative tra i tre scenari emergono sul fronte delle proiezioni dei flussi migratori». La Ragioneria usa le proiezioni Istat con un flusso migratorio netto che cresce poco rispetto ai livelli del 2015 (+ 133 mila), toccando un picco di +160 mila fra il 2030 e il 2040, per poi scendere fino a + 140 mila nel 2065. Lo scenario Ue sottintende invece un flusso medio di 38 mila migranti in media in più all’anno rispetto all’Istat, ma l’incidenza della spesa pensionistica salirebbe lo stesso di più per via di previsioni peggiori sul fronte della disoccupazione e del Pil. Ma è soprattutto nelle previsioni del Fmi che il minor afflusso di migranti determina un’impennata della spesa fino al 20,5% nel 2040. Per il Fondo, infatti, arriverebbero in Italia 60 mila immigrati in meno all’anno in media rispetto alle previsioni della Istat-Rgs, per un «totale cumulato di poco meno di 3 milioni di individui». Quelli che farebbero la differenza. In ogni caso, flussi tali da non bilanciare il calo demografico degli italiani. Basti dire che la popolazione residente (immigrati compresi) in Italia, che nel 2015 era pari a circa 60,8 milioni, scenderà nel 2065 a 53,7 milioni (-11,7%) secondo l’Istat, a 55,8 milioni (-8,1%) secondo Eurostat e a 51,5 milioni (-13,4%) secondo il Fmi.

FONTE: Enrico Marro, CORRIERE DELLA SERA[1]

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  1. CORRIERE DELLA SERA: http://www.corriere.it/

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