In Messico oggi si vota. Favorito López Obrador, contro la criminalità di stato

by Andrea Cegna | 1 Luglio 2018 10:10

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Seggi aperti dalle 8 alle 18 in Messico per il rinnovo del parlamento e per scegliere il nuovo presidente della repubblica, centinaia di comuni e i governi di diversi stati del paese. La campagna elettorale, iniziata a settembre, «è stata la più violenta di sempre» ci dice Araceli Olivos, avvocata del Centro dei diritti umani Agustín Prodh di Città del Messico. «È stata forte espressione di come il potere criminale possa prendere il controllo di un processo elettorale. Non è sorprendente, ma non per questo smette di essere grave condannare certi stati al controllo della criminalità organizzata e dello stato-criminale».

SECONDO QUANTO RIPORTA Etelletk, società di analisi di rischio e comunicazione politica, nel sesto «Dossier sulla violenza politica nel paese durante il confronto elettorale», circa 130 candidate e candidati sono stati ammazzati: Omar Gómez Lucatero, ucciso in Michoacán è stato solo l’ultimo della lista. All’elenco dei morti si possono anche aggiungere sei tra giornalisti e giornaliste.

La campagna elettorale ha così confermato agli occhi di moltissimi cittadini come il Pri e il Pan (unici due partiti nella storia post rivoluzionaria ad aver avuto presidenti) siano volti non diversi della medaglia della corruzione, e rafforzato la figura di Andrés Manuel López Obrador (detto «Amlo»). Il candidato di Mo.Re.Na (Movimiento Regeneración Nacional) per la terza volta prova a sedersi sulla sedia più importante della politica messicana, dopo le sconfitte nel 2012 e nel 2006, quando fu un broglio a dare la vittoria a Felipe Calderón.

In molti temono che la macchina del potere si sia già messa in moto per modificare il risultato delle urne, questa volta però la sfiducia nei partiti tradizionali potrebbe non essere conveniente per un’altra frode. Forse più che sul risultato presidenziale la manipolazione potrebbe interessare il voto parlamentare, che secondo i sondaggi vede in testa la coalizione che sostiene Obrador.

IL FAVORITO OBRADOR oggi è appoggiato da fuorisciti dal Pan e dal Pri, dagli antiabortisti del Pes, e ha posizioni meno radicali che nel 2006.

LA PAURA PER NUOVI BROGLI e la violenza strisciante aiutano a propagandare il racconto di un paese fallito e di uno stato nelle mani del crimine organizzato, ma osservando bene e ascoltando voci meno comode la verità sembra diversa, e si può riassumere nella denuncia dell’avvocatessa Alma Barraza Gómez («Una pattuglia con cinque poliziotti, tutti con un passamontagna, mi ha sequestrata dopo una marcia di protesta, mi hanno portato fuori città e mi hanno picchiata, privandomi illegalmente della mia libertà. In quel momento pensavo che non avrei più rivisto la mia famiglia») o nell’assenza di responsabili per l’omicidio di decine e decine di giornalisti dal 2000 ad oggi.I diritti umani e la smilitarizzazione del paese non erano nell’agenda di nessuno dei candidati (…) Così è facile prevedere che tutto resti com’è oggi Araceli Olivos

«Ma dire narco-stato sarebbe assolvente per la rete di potere e complicità che lega lo stato con il crimine organizzato – aggiunge Olivos -. Sarebbe più adeguato parlare di macrocriminalità politica. Un termine utilizzato da Kai Ambos, e che permette di inserire lo Stato all’interno della rete criminale».

IL CLIMA DI SFIDUCIA generalizzato ha spinto diverse comunità autonome messicane a dichiarare pubblicamente che non solo non voteranno ma non faranno nemmeno aprire i seggi. A Cherán, in Michoacán, sarà la terza volta che l’autogoverno territoriale rifiuta voto e partiti e così non permette che si svolgano elezioni. Dal 2011 nella comunità si vota solo secondo usi e costumi originari. Questa scelta secondo Olivos si spiega perché «anche la proposta più “progressista” vede il capitalismo estrattivo come direzione per la politica economica del paese. È facile, quindi, prevedere che tutto resterà com’è oggi. È quel tipo di interesse che ha giustificato lo sgombero di comunità indigene, l’esplosione degli scontri criminali per il controllo del territorio, i desaparecidos e gli arresti».

L’Ezln, dopo che Marichuy non ha raccolto le firme necessarie per candidarsi come indipendente ha optato per il silenzio. Obrador, da buon populista, durante la campagna elettorale ha difeso il Nafta e allo stesso tempo criticato parte della dottrina neoliberista. Non è certo un rivoluzionario ma è l’unico che potrebbe, se ne avrà il coraggio, chiudere la stagione della violenza sistemica dello stato-criminale.

IL PUNTO DI DOMANDA è necessario e convive con la speranza di qualche cambiamento, perché come ci ricorda Olivos «durante la campagna elettorale i diritti umani non erano nell’agenda di nessuno dei candidati. Nessuno ha mostrato un piano concreto per la smilitarizzazione del paese. Anaya e Obrador sono gli unici che hanno parlato del caso degli studenti scomparsi di Ayotzinapa, anche se con molta sufficienza». La partita quindi è tra la conferma dello stato-criminale e la sfocata prospettiva di cambiamento.

FONTE: Andrea Cegna, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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