Donald Trump contro Google: il suo algoritmo è di sinistra «al 96%»

Donald Trump contro Google: il suo algoritmo è di sinistra «al 96%»

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E l’algoritmo di «Google News» rende visibili solo questi siti e non quelli che parlano bene della Casa Bianca. «Sono pericolosi», producono «fake news». Inchiesta su come nasce l’accusa di chi ha costruito una fortuna politica sui social e gli algoritmi. Ecco perché oggi per il mercato della rete è più redditizio parlare contro Trump

Per Donald Trump Cnn, Cbs, The Atlantic, Cnbc, The New Yorker, Politico, Reuters, e USA Today sono «di sinistra» perché pubblicano notizie critiche sul suo operato da presidente. Così risulterebbe da una ricerca su Google sulle «Trump News»: otto notizie su dieci nella prima pagina del motore di ricerca sono anti-trumpiane. Per The Donald « il 96%» dei risultati provengono dalla «sinistra». Il presidente ha definiti questi siti «molto pericolosi» e si è impegnato ad affrontare una situazione «molto seria». Per lui il servizio news di Google è «truccato».

IL CAMPIONE del Nazional-Populismo rampante, come ogni mattina, alle 5,24 ha pubblicato su Twitter due microblog per dettare l’agenda della giornata e deviare l’attenzione dalle emergenze di una presidenza azzoppata da una settimana di dimissioni, polemiche sulla scomparsa del Repubblicano anti-trumpiano McCain e varie altre dissonanze. E ha distillato la pozione di un nuovo complotto ordito dall’opposizione che più o meno coincide con la quasi integralità dello spazio mediatico americano. A parte Fox News o l’ultradestro complottista appena espulso dalle piattaforme di tutta la Silicon Valley: Infowars. È un’occasione d’oro per chi ha fatto carriera denunciando le «fake news» degli altri, senza riconoscere l’esistenza della macchina globale che, dalla Macedonia al Canada fino a Los Angeles, passando (forse) dalla Russia o Cambridge Analytica (il caso Facebook) le ha prodotte per lui nella campagna elettorale del 2016.

Donald J. Trump
@realDonaldTrump

Donald J. Trump

@realDonaldTrump

….results on “Trump News” are from National Left-Wing Media, very dangerous. Google & others are suppressing voices of Conservatives and hiding information and news that is good. They are controlling what we can & cannot see. This is a very serious situation-will be addressed!

60.300

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LE CATEGORIE POLITICHE americane sono, come noto, particolari, ma definire di «sinistra» la Cnn solo perché è impietosamente anti-trumpiana (ricambiata) è un’iperbole. Certo, la categoria, di questi tempi, soffre di una grave crisi cognitiva, ma bollare l’Economist o la Reuters di essere anche loro «di sinistra» fa sorridere. A meno che «sinistra» non sia, anche in questo caso, il sinonimo di «élite», «radical-chic» e tutte le parolette magiche che ipnotizzano ogni tentativo di opposizione associandolo a un establishment fantasma e scatenando il senso di colpa in chi non ne ha. Per chi legge il New Yorker, Politico o altre testate sa che l’incantesimo può essere interrotto con uno schioccare di dita.

È CERTO CHE CHI all’albeggiare scrive i tweet del fulvo presidente si sia abbeverato dalla fonte, diventata virale sabato scorso, del sito PJ News. Quello che ha denunciato il «complotto» dei presunti «media di sinistra» sulla base di una mappa realizzata dalla giornalista conservatrice Sharyl Attkisson. Il sondaggio, per ammissione della stessa autrice dell’articolo Paula Bolyard, vicina a Trump, «non è scientifico», anche se è certa dell’incredibile percentuale del «96%». È la cifra esatta dell’accerchiamento del presidente eroe, vittima di chi ne critica le gesta epiche. È il più classico dei canovacci nazional-populisti: soggettivismo spacciato per parere esperto, o «inchiesta». Il tutto finalizzato alla polarizzazione vittimaria dell’Uno contro il resto del mondo. Questa è anche la base delle teorie cospirazioniste del potere tanto pervasive quanto impossibili da dimostrare. A conferma dell’operazione – spaccato del sistema politico-comunicativo negli Usa – può essere citato l’anchorman Lou Dobbs che ha parlato dell’articolo lunedì sera in una trasmissione su Fox News. I tweet del presidente hanno rilanciato il messaggio.

NON È SOLO UNA QUESTIONE di ideologia. Il segretissimo algoritmo che governa il motore di ricerca non ragiona con le categorie della politologia classica. Per quello che si è letto dalle 160 pagine del manuale diffuso dall’azienda di Mountain View, e diventato oggetto di studio per una professione come il social media manager specializzato in «Search engine optimization» (Seo), l’algoritmo aggiornato quotidianamente può essere influenzato in base ad almeno 101 regole pratiche (dalla lunghezza dell’indirizzo alla descrizione del post, dal provider alla fattura del sito). E dal peso dei fondi messi a disposizione per scalare la classifica (ranking) del motore di ricerca. Conta l’intreccio con altri potenti media come la Tv. E il fattore spill over: la capacità di far tracimare la notizia e far parlare di sé in maniera transmediale.

IL «RANKING» DELLA CNN, al primo posto della classifica odiata da Trump, potrebbe essere il risultato di fattori combinati. E del fatto che Trump non smette mai di parlare contro l’emittente televisiva. Facendo la sua fortuna e quella di Google. Come piattaforma pubblicitaria il guadagno è certo. Trump, che non vive senza social network, è una miniera d’oro per tutti coloro che ne parlano e per chi vende merci. L’algoritmo «non è di destra, né di sinistra». Esegue, grazie al lavoro umano di migliaia di moderatori, «microworkers», e miliardi di utenti, le regole della ragione capitalista digitale. Lo stesso Trump ha costruito la sua fortuna politica. E, quando la macchina non risponde al suo bisogno di rispecchiamento, denuncia «fake news».

SUL MERCATO DELLA RETE oggi «pesano» di più le citazioni e le notizie critiche su Trump, non le sue vere o presunte «good news». I motori di ricerca, e le piattaforme digitali, non riflettono il mondo in base a una percezione neutrale, ma in base a un unico «pregiudizio»: quello del mercato. In fondo, falli di frustrazione a parte, questo è il prezzo del successo.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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