Dopo la strage. Noi, complici inconsapevoli

Dopo la strage. Noi, complici inconsapevoli

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C’è voluta questa vergognosa doppia tragedia in Puglia per riportare l’attenzione su quello che è un fenomeno ancora estremamente radicato nelle nostre campagne: lo sfruttamento della manodopera bracciantile. Una ferita figlia di un sistema distorto di cui, purtroppo, anche noi cittadini siamo complici, spesso inconsapevolmente. Immagino sia capitato a tutti di trovare “volantini” di ipermercati, supermercati e discount che pubblicizzano prodotti sottocosto, sconti imperdibili e altre meraviglie. A leggere determinati prezzi si rimane a bocca aperta, ma cosa c’è dietro tutto questo?

Un articolo di Stefano Liberti su Internazionale ha acceso i riflettori sul meccanismo delle aste a doppio ribasso, una pratica di acquisto ampiamente diffusa tra gli operatori della grande distribuzione organizzata (GDO) che mette in difficoltà, con un effetto domino, l’intera filiera agroalimentare. Attraverso due aste consecutive, i fornitori sono forzati a fissare prezzi sottocosto per i loro prodotti al solo scopo di “restare nel giro” e di non perdere il posizionamento in scaffale. Un meccanismo che ovviamente poi obbliga questi stessi fornitori a rifarsi sui produttori, e quest’ultimi sui lavoratori salariati, in un circolo vizioso che puzza dalla testa e che spesso si traduce in fenomeni come quello del caporalato e dello sfruttamento nei campi.
Dalla GDO il solito mantra sull’impotenza di fronte alla «cattiveria del mercato a cui purtroppo bisogna adeguarsi». In sintesi il mercato, che non si capisce da chi dovrebbe essere guidato e che ci viene narrato come disinteressato e imparziale, è il sovrano che detta un’unica legge: essere debole coi forti e forte coi deboli. La ragione alla base di tutto questo è chiara: il cibo è diventato pura commodity soggetta a una spregiudicata economia di scala che ha come fine ultimo solo e unicamente l’abbattimento dei prezzi. «Lo vuole il consumatore!», si dice. E allora la filiera del pomodoro non è l’unica a essere interessata dal fenomeno, ma si potrebbe parlare di quella del latte, dell’olio e persino del vino o di alcuni formaggi, inclusi eccellenze come il Parmigiano Reggiano. Il problema è che dietro a un barattolo di passata o di pelati a 0,80 euro al litro c’è un sistema produttivo che non può stare in piedi e che soprattutto non può dare qualità, né alimentare né sociale.
A perderci sono sia i consumatori che i produttori. I primi perché, dietro l’illusione della convenienza, si vedono propinati prodotti che o non hanno standard qualitativi alti o nascondono situazioni umane non tollerabili o entrambe. I secondi perché sono schiacciati da un meccanismo perverso che li impoverisce e li pone in costante competizione al ribasso alimentando una guerra tra poveri. Senza dimenticare i danni agli ecosistemi che un’agricoltura totalmente improntata all’abbattimento dei costi provoca. Per questo serve una nuova visione da parte dei cittadini, non possiamo più accettare di essere abbindolati da prezzi che sono bassi solo nominalmente perché generano danno (e costi nascosti) al sistema economico e sociale. Dobbiamo richiedere prezzi giusti a fronte di una buona qualità, dobbiamo provare a incidere su filiere che penalizzano gli ultimi e l’ambiente.
Tenendo ben presente, poi, che anche le politiche agricole sono decisive per delineare il sistema che vogliamo. A questo proposito in Commissione europea è stata presentata una proposta di direttiva sulle pratiche commerciali sleali che mira a proteggere proprio quei piccoli che a oggi rischiano di venire schiacciati.
Se approvata, verrebbero finalmente introdotte regole più chiare per contrastare i metodi sleali come le aste al doppio ribasso e meccanismi di tutela sull’intera filiera, riducendo lo strapotere dei colossi della distribuzione. L’augurio è che i governi si facciano rapidamente carico di trasformare in realtà questa proposta.

* Fonte: Carlo Petrini, LA REPUBBLICA



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