Dopo le sanzioni Usa, Mosca abbandona il dollaro e sceglie l’euro

Dopo le sanzioni Usa, Mosca abbandona il dollaro e sceglie l’euro

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Il rublo ha perso in un mese il 10% del suo valore, resta debole e assai vulnerabile ai dati macroeconomici: l’inflazione è destinata a crescere dal 3,1 al 3,4% mentre l’aumento del Pil resterà abbondantemente sotto il due per cento

C’è poco da scherzare sui guai di Trump con le sue amanti. Li pagheranno infatti fuori dagli Usa con una stretta verso la Russia (nuove sanzioni), la Turchia, la Cina (con i dazi) e anche verso l’Europa. Così Putin corre ai ripari elevando l’euro a moneta di riferimento degli scambi economici e commerciali al posto del dollaro.

Qualche vantaggio dalla mossa di Mosca potrebbe venire anche agli europei.

Per capire che le cose non vanno per il rublo basta dare uno sguardo ai mercati. Il rublo ha sfiorato ieri quota 69 per un dollaro, facendo registrare il suo valore più basso da aprile 2016 sulla scia dei timori di nuove sanzioni americane contro la Russia. La moneta russa ha poi riacquistato terreno in seguito alla decisione della Banca centrale di congelare fino a settembre l’acquisto di valuta straniera «per ridurre la volatilità dei mercati finanziari». Alla Borsa di Mosca poi la valuta russa alla fine ha recuperato ed è stata scambiata a 67,63 rubli e l’euro a 78,30 rubli.

Ma la moneta russa ha perso in un mese il 10% del suo valore, resta debole e assai vulnerabile ai dati macroeconomici: l’inflazione è destinata a crescere dal 3,1 al 3,4% mentre l’aumento del Pil resterà abbondantemente sotto il due per cento.

L’ancoraggio all’euro sembra ora la prospettiva di Mosca per stabilizzare l’economia e sostenere l’urto di nuove sanzioni americane. In futuro proprio l’euro potrebbe essere avvantaggiato dalla crisi turca e dalle restrizioni statunitensi sul commercio in Russia. Il ministro delle Finanze russo, Anton Germanovich Siluanov, qualche giorno fa aveva dichiarato all’emittente televisiva Rossiya-1 che Mosca userà valute diverse dal dollaro per gli investimenti, euro compreso, in risposta al nuovo pacchetto di sanzioni americane contro la Russia. «Abbiamo ridotto i nostri investimenti nell’economia e nei titoli Usa al minimo e continueremo a ridurli», aveva dichiarato detto Siluanov dopo il quinto vertice del Caspio ad Aktau in Kazakhistan, fra i presidenti di Iran, Hassan Rohani, e della Russia, Vladimir Putin. E aveva aggiunto: «Smetteremo di usare il dollaro degli Stati Uniti d’America e useremo la nostra valuta nazionale, o altre valute, compresa quella europea. Queste restrizioni si ritorceranno contro gli statunitensi».

In realtà il Cremlino è anche alla ricerca di un bilanciamento delle sue riserve valutarie come del resto la Turchia di Erdogan che ha visto crollare in un anno del 40-50% il valore della lira. Anche per gli scambi commerciali Mosca si è detta orientata a usare la valuta locale dei Paesi coinvolti, piuttosto che i dollari. È in sostanza la stessa linea espressa da Ankara colpita anch’essa dagli Stati Uniti che hanno raddoppiato i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio dalla Turchia: di recente Erdogan si è detto pronto ad avviare scambi in valuta locale, invece che in dollari, con i Paesi con i quali commercia.

La verità è che la Turchia è indebitata più in euro e con le banche europee che in dollari (il 70% dei debiti delle imprese turche è con le banche europee) e dovrà cercare nell’Unione una sponda indispensabile se vuole mantenersi a galla. L’esposizione delle banche spagnole, francesi e italiane nei confronti della Turchia ammonta a 139 miliardi di dollari. Mentre gli europei, a loro volta, saranno costretti persino a puntellare l’Erdogan Economy perché sono quelli destinati a pagare il prezzo più alto nel caso di un crollo economico e finanziario del Reìs turco.

Mentre ministri degli Esteri di Russia e Turchia, Serghiei Lavrov e Mevlut Cavusoglu, discuteranno oggi a Mosca della situazione in Siria, sembra da escludere per il momento che Mosca vada in soccorso dell’economia di Erdogan. Almeno così aveva dichiarato Dmitrij Peskov, il portavoce del Cremlino, escludendo sia le ipotetiche speculazioni sull’assistenza finanziaria russa a Erdogan, sia che la crisi turca possa in incidere negativamente sui progetti comuni fra Russia e Turchia, dal gasdotto Turkish Stream alla centrale nucleare russa sul Mediterraneo. Il Cremlino è favorevole piuttosto a commerciare bilateralmente con gli altri Paesi utilizzando le loro valute nazionali invece dei dollari. O a usare piuttosto l’euro: una maniera per Mosca di entrare nell’Unione dalla porta di servizio, rafforzando anche il suo ruolo di grande fornitore di energia e di gas come ha dimostrato anche l’ultimo incontro tra Putin e la cancelliera Merkel, che certamente per la sua concreta cordialità non è piaciuto ai sanzionatori americani.

* Fonte: Alberto Negri, IL MANIFESTO



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