Genova, tragedia annunciata, crolla il ponte Morandi, 35 i morti

by Mauro Ravarino * | 15 Agosto 2018 9:40

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GENOVA. In quella geometria disordinata che è la Bassa Valpolcevera – i quartieri di Genova che da Sampierdarena si incuneano tra i monti – il ponte Morandi, per tanti «il ponte di Brooklyn», dominava lo sguardo. Attirava i mugugni di chi stava in basso e lo stupore della vista del primo mare per chi, dall’alto, arrivava da «in fondo alla campagna». Una sorpresa attraversata da un brivido per la vertigine dell’altezza. «E ogni volta ci chiediamo/ Se quel posto dove andiamo/ Non c’inghiotte, e non torniamo più», cantava Paolo Conte in Genova per noi. Un brivido inconsciamente profetico. Quel ponte, ieri, è crollato, trascinando tra le macerie decine di vittime (il bilancio parla di 35 morti, tra cui due bambini). E una città nello sgomento, nella rabbia e nello sconforto. Sedici i feriti, alcuni gravi, quattro le persone estratte vive.

SONO le 11,50 quando un boato fortissimo si confonde con i tuoni del temporale. Una parte della carreggiata del lungo ponte, su cui scorre il tratto terminale dell’A10, precipita giù per cento metri tra via Fillak, in zona Rivarolo, e l’alveo del torrente Polcevera. Un cedimento strutturale. In quel momento transitavano almeno trenta autovetture e alcuni mezzi pesanti. «Ho visto il ponte che si sbriciolava e andava giù», racconta Christian, che con la macchina era sul ponte al momento del crollo. «Sono sceso dall’auto e mi sono messo a correre più che potevo» perché «non riuscivo a capire cosa stesse succedendo».

Il viadotto Morandi, dal nome del suo progettista Riccardo Morandi, fu inaugurato il 4 settembre del 1967 dal presidente Saragat. Oltre millecento metri di lunghezza e novanta metri di altezza realizzati da Società Italiana per Condotte d’Acqua. Una storia travagliata, che iniziò in quegli anni di euforia cementizia senza che fosse messo mai in conto il degrado naturale del calcestruzzo. L’opera «ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici, oltre l’aumento dei costi di costruzione preventivati», scriveva su ingegneri.info il 29 luglio di due anni fa Antonio Brencich, professore associato di Costruzioni in cemento armato all’Università di Genova. Oggi conferma: «Molti lo ritengono un capolavoro dell’ingegneria, io lo ritengo un fallimento dell’ingegneria. Un ponte che ha 51 anni di vita non può crollare».

I CANTIERI erano perenni e visibili da chiunque lo percorresse. «Sulla struttura – fa sapere Autostrade per l’Italia, che ha in gestione quel tratto – erano in corso lavori di consolidamento della soletta del viadotto e che, come da progetto, era stato installato un carro-ponte per consentire lo svolgimento delle attività di manutenzione». Il crollo è «per noi qualcosa di inaspettato e imprevisto rispetto all’attività di monitoraggio che veniva compiuta sul ponte», precisa la società. La procura di Genova «è pronta a aprire un fascicolo per omicidio plurimo e disastro colposo» a carico di ignoti.

Davide Ghiglione di Pontedecimo lavora in una ditta del settore marittimo non lontano dal viadotto, è tornato solo lunedì dalle ferie. «Ho visto le macerie e le sagome di macchine intrappolate. Non ci si può giustamente avvicinare molto perché c’è il pericolo di fughe di gas». Pietrificato dalla scena confessa: «Onestamente passandoci sopra non mi sono mai sentito sicuro». Ed è una paura che torna nelle dichiarazioni stringate dei genovesi. Consigliere al V Municipio Ghiglione si batte da anni a favore della messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture esistenti (ammodernare, per esempio, il ponte Morandi). «Si insiste, invece, con il Terzo Valico e con la Gronda, un nuovo esosissimo tratto autostradale a due corsie per senso di marcia come raddoppio dell’A10, che, però, dati alla mano, per come è pensato, non alleggerirebbe il traffico ma causerebbe problemi ambientali, amianto in primis».

SULLA STESSA lunghezza d’onda Antonio Bruno, fino alla scorsa legislatura consigliere comunale a Genova per Fds, non nasconde lo sconforto e la rabbia: «Come movimento No Gronda avevamo sempre sostenuto di ammodernare l’esistente e di rifare il nodo di San Benigno invece di perdere tempo con le gallerie che si sarebbero aggiunte al ponte, perché il viadotto non sarebbe stato certo eliminato. E noi sapevamo bene che non sarebbe durato in eterno».

UN PONTE trafficato, nel 2009 si parlava di 25,5 milioni di transiti l’anno. Tra cui quei trasporti speciali diventati sempre più pesanti (si carica di più per fare meno viaggi e pagar meno), che hanno stressato questo viadotto, come altri in Italia. E, ora, manca il fiato se si guarda lo squarcio del ponte, che cambia sensibilmente il panorama di Genova; e se lo abbassiamo, quei macigni di cemento accatastati, atterriscono. Una scena apocalittica, in cui i molti e volonterosi soccorritori hanno lavorato per ore. I piloni distrutti, le auto accartocciate come lattine, i capannoni sfondati. Sono in totale 440 le persone costrette a lasciare la propria abitazione. Il sogno di un’effimera modernità è diventato un incubo.

* Fonte: Mauro Ravarino, IL MANIFESTO[1]

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