Infrastrutture, l’Anas si riprende 6mila chilometri di strade dagli enti locali

Infrastrutture, l’Anas si riprende 6mila chilometri di strade dagli enti locali

Loading

L’Anas (da gennaio 2018 sotto il controllo delle Ferrovie dello stato) è l’ente che sta gestendo l’inversione di marcia delle politiche in tema di infrastrutture stradali. Con l’avvio della riforma nel 2001, infatti, circa la metà della rete Anas è stata trasferita alle regioni e poi alle province. Erano gli anni del «Federalismo stradale» ma, dopo circa un decennio, sono stati gli stessi enti locali a chiedere allo stato di riprendersi le infrastrutture. La frammentazione è stata un fallimento.

Dal 2006 al 2010 sono state ridimensionate le risorse dallo stato alle regioni per la riclassificazione della rete. Un atto che ha peggiorato le difficoltà economiche degli enti locali. Particolarmente difficile, poi, la situazione delle province: «Gestiamo 130mila chilometri di strade e almeno 30mila tra ponti, viadotti e gallerie – ha spiegato il presidente dell’Unione province italiane, Achille Variati -. Con i tagli della manovra economica 2015 è diventato impossibile fare la manutenzione. I controlli avvengono solo a vista». Oltre 5mila chilometri sono chiusi per frane, smottamenti o perché insicuri. «Abbiamo chiesto un incontro al ministro Toninelli – conclude – per ribadire l’urgenza di un fondo nazionale dedicato alle provinciali».

Il Mit ha sviluppato il piano Rientro Strade per far indirizzare 6.250 chilometri di assi viari di 11 regioni verso la gestione Anas. L’iter è iniziato ad agosto 2017. Lo scopo è «recuperare il deficit manutentivo accumulato». Il primo atto c’è stato proprio a inizio mese in Liguria, con il passaggio di circa 280 chilometri all’Anas. Per il periodo 2016-2020, su 23 miliardi di finanziamenti, quasi 11 miliardi sono destinati a manutenzione, adeguamento e messa in sicurezza. Un capitolo che include però molte voci: verifica del corpo stradale, cura delle opere d’arte, guard-rail, segnaletica, illuminazione, impianti tecnologici fino al piano tappa buche.

Capitolo a parte per il monitoraggio di ponti e viadotti: sono previsti circa 350 milioni l’anno e, con la rimodulazione del fondo Infrastrutture, dovrebbero poi arrivare ulteriori 200 milioni l’anno. Particolamente attenzionati i ponti Morandi Akragas I e II, ad Agrigento: il più piccolo, il II, ha una viabilità limitata in attesa di lavori; I è chiuso e si sta valutando con il sindaco se abbatterlo e potenziale la viabilità alternativa.

Tema verifiche: in corso un piano di monitoraggio elettronico degli oltre 13mila ponti, viadotti e cavalcavia Anas. Chiusa la fase di sperimentazione, devono partire i bandi. Si tratta di sensori che captano le anomalie accanto ad applicazioni per catalogare i parametri necessari a capire lo stato e il comportamento delle opere. «In Italia i ponti scaduti e da revisionare sono circa 10mila – spiega Antonio Occhiuzzi, del Cnr -. Gli elementi principali alla base del rischio crollo sono i volumi di traffico e l’età dei manufatti». Il Codacons chiede «ai prefetti che dispongano il blocco dei mezzi pesanti sui viadotti a rischio per provvedere alle verifiche con il genio militare».

* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO

photo: Di Basilicofresco [CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)], da Wikimedia Commons



Related Articles

I dieci motivi per votare “sì” e dimenticarsi delle centrali

Loading

Costano troppo, sono pericolose, non risolvono i problemi energetici. Il ripensamento sull’atomo è globale. Gli italiani devono decidere se aprire nuovi impianti o seguire la strada “nuclear free” di Germania e Svizzera. Si accumulano le scorie accanto ai reattori. Nessuno è riuscito a realizzare un deposito sicuro. Gas e rinnovabili si stanno facendo largo. E per gli operatori cambiano gli interessi in gioco

Se si trivella la storia

Loading

Licata No Triv. Domani manifestazione regionale nell’antichissima cittadina siciliana, contro il progetto Off Shore Ibleo nel Canale di Sicilia

Giappone. Il paese martire dell’atomo ora dice addio alle centrali

Loading

Per decenni la nazione umiliata dalla Bomba ha abbracciato la tecnologia che sbriciolò Hiroshima e Nagasaki. Dopo Fukushima la svolta: il premier Kan annuncia la fine del nucleare in favore delle energie rinnovabili.  Il sensazionale boom nipponico non ci sarebbe stato senza la potenza prodotta grazie “all’ordigno addomesticato”  

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment