L’Ecuador esce dalla bolivariana Alba e sceglie il blocco liberista del Pacifico

by Claudia Fanti * | 31 Agosto 2018 10:35

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Mai come negli anni passati, quelli del trionfo dei governi progressisti latinoamericani, era sembrato così reale il sogno della Patria Grande indo-afro-iberoamericana, quello (in base all’auspicio di Hugo Chávez) di «un blocco politico mondiale indipendente, non soggetto a potenza né a potere alcuno».

E meno che mai all’influenza dell’ingombrante paese vicino, impegnato da sempre a ricoprire «l’America di miserie in nome della libertà», secondo le profetiche parole pronunciate da Bolívar nel 1829. Negli ultimi mesi, tuttavia, quel processo di integrazione tanto faticosamente costruito sembra sfaldarsi in maniera accelerata.

Lo strappo più deciso lo ha compiuto il nuovo presidente colombiano Ivan Duque, che il 27 agosto ha annunciato il ritiro ufficiale della Colombia dall’Unasur, l’Unione delle nazioni sudamericane costituita nel 2008, a causa della «complicità» mostrata dall’istituzione con la «dittatura venezuelana».

Un abbandono non inatteso, dopo la decisione adottata ad aprile dalla Colombia e dagli altri governi del Gruppo di Lima (Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Perù e Paraguay) di sospendere la propria partecipazione all’organismo.

E ancor di più dopo l’ufficializzazione da parte dell’ex presidente Juan Manuel Santos, il 31 maggio, dell’ingresso della Colombia nella Nato come «partner globale», in violazione della proclamazione dell’America latina e dei Caraibi come zona di pace, decisa nel 2014 al II Vertice della Celac (Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici).

Ma se da un presidente di estrema destra come Duque era prevedibile, meno scontato era il ritiro dell’Ecuador dall’Alba, l’Alleanza bolivariana per le Americhe, annunciato il 23 agosto dal ministro degli Esteri José Valencia con la motivazione della «ricerca di indipendenza» del governo in materia di politica regionale.

Neppure in tal caso, tuttavia, si tratta di un fulmine a ciel sereno: già a luglio il presidente Lenin Moreno aveva sollecitato la restituzione della sede dell’Unasur a Quito – un edificio che era stato ceduto dall’ex presidente Rafael Correa ai Paesi dell’organismo – e iniziato il processo di adesione al blocco conservatore dell’Alleanza del Pacifico, un accordo di cooperazione di chiaro stampo neoliberista e di altrettanto chiaro carattere antagonista rispetto agli altri progetti di integrazione latinoamericana. Ancor prima, a marzo, il governo aveva tagliato i finanziamenti a TeleSur, la catena tv latina alternativa con sede a Caracas.

Dopo l’abbandono dell’Honduras nel 2009, in seguito al colpo di Stato contro il presidente Manuel Zelaya, l’Ecuador è il secondo Paese a lasciare l’Alba da quando, nel dicembre 2004, la più innovativa proposta di integrazione del continente muoveva il primo passo: la firma all’Avana, da parte di Hugo Chávez e Fidel Castro, di un accordo destinato a diventare, con la successiva adesione di Bolivia, Nicaragua, Ecuador, Honduras e di tre piccoli Stati caraibici (Dominica, San Vicente y Las Granadinas e Antigua y Barbuda), la punta di lancia del processo di trasformazione in America Latina.

Un progetto di integrazione fondato sull’unione dei popoli anziché dei mercati e orientato a sostituire i principi di competitività e di libero commercio con un’etica della solidarietà e della complementarità, espressa in progetti come la Scuola latinoamericana di Medicina «Salvador Allende» a Caracas o la «Misión Milagro», che ha permesso a diverse migliaia di latinoamericani di recuperare la vista.

Poteva essere, per l’America latina, l’inizio di una pagina nuova, di un processo in grado di scongiurare per sempre ogni rischio di un eventuale rilancio del Consenso di Washington. Con il riallineamento del subcontinente alla sfera di influenza nordamericana, per il sogno della Patria Grande ci sarà ancora da attendere.

* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO[1]

photo: By Andes/César Muñoz (LENIN MORENO) [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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