Riders, Foodora scappa dall’Italia

Riders, Foodora scappa dall’Italia

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A giugno Foodora aveva annunciato di lasciare l’Italia nel caso in cui fosse stata approvata una bozza del «decreto dignità» che riconosceva lo status di lavoratori subordinati ai ciclofattorini («riders») che consegnano cibo a domicilio tramite piattaforma digitale. Gli articoli di quella bozza sono nel frattempo evaporati, mentre il tavolo con le parti sociali, le aziende e i «riders» convocato dal ministro del lavoro Luigi Di Maio aspetta una terza convocazione a settembre. La scomparsa della norma sulla subordinazione dei lavoratori oggi variamente inquadrati (Co.co.co., partite Iva, ritenute d’acconto) convinse Foodora a partecipare al tavolo. L’azienda ha una «carta dei diritti» dei «riders» sottoscritta con altre aziende del food delivery Foodracers, Moovenda e Prestofood.

TRE MESI DOPO, a inizio agosto, Foodora ha annunciato di lasciare l’Italia. Non per il «decreto dignità» che, nel frattempo, è stato approvato alla Camera senza gli articoli sulla subordinazione dei «riders», ma per questioni di tenuta finanziaria della filiale italiana di Delivery Hero, la casa madre tedesca con sede a Berlino. Finisce così l’avventura italiana di un giovane attore del nuovo capitalismo digitale dalle sin troppo pronunciate pretese normative (Di Maio aveva risposto al primo annuncio così: «Non accetto ricatti»), ma dalle limitate risorse finanziarie in un modello di accumulazione che ne pretende molte e lascia pochi margini.

RISPETTO A UNA PRESENZA ingombrante, la motivazione della decisione finale si presenta molto asciutta. Per Emanuel Pallua, il co-fondatore di Foodora, nel nostro paese la «Gig economy», l’economia dei «lavoretti», è limitata, esiste una diffusa concorrenza (Deliveroo, Glovo, Just Eat, UberEats e altri), non c’è modo di «operare in modo economicamente efficiente». Un obiettivo «ora difficile da raggiungere con investimenti ragionevoli». La base dei clienti e i contratti con i ristoranti sarebbero in vendita. Non il marchio, né i «riders» inquadrati in questo caso come «Co.co.co». «Questo annuncio – ha continuato Pallua – non ha conseguenze sul servizio e sulle modalità con cui operiamo. La nostra piattaforma, il servizio dei ristoranti e i riders sono operativi come sempre. La priorità è assicurare un futuro di successo anche con una nuova proprietà».

LO STESSO ACCADRÀ in Olanda, dove il portavoce di Takeaway.com, Joris Wilton, sostiene che la sua compagnia «considererà certamente» l’acquisto. Takeaway.com insidia quote di mercato anche in Germania.

ADDIO ANCHE all’Australia entro il 20 agosto. Foodora sostiene che la decisione non dipende dall’azione legale in corso sul fondamentale problema del mancato inquadramento dei ciclofattorini come lavoratori subordinati. A giugno un difensore civico per il «lavoro equo» ha portato Foodora in tribunale chiedendo il riconoscimento dello status di lavoratori subordinati a due riders di Melbourne classificati come «contrattisti indipendenti». È il problema a cui la bozza del «decreto dignità» di Di Maio offriva una soluzione definitiva. Lo stesso problema è stato affrontato da una sentenza con la quale un tribunale del lavoro ha negato la subordinazione a sei «riders» di Foodora a Torino.

IL SINDACATO australiano Transport Workers Union ha accusato Foodora di avere negato compensi, contributi, straordinari per milioni di dollari. Per Foodora si tratta invece di una decisione strategica che l’ha portata a concentrarsi su «altri mercati dove c’è una maggiore crescita potenziale». L’investimento è stato di 80 milioni di euro.

IN FRANCIA, dove aveva 60 dipendenti e 2 mila «riders», Foodora non lascia del tutto. Con 51 milioni di euro ha acquisito una partecipazione nella piattaforma spagnola Glovo. Il 29 giugno scorso Delivery Hero, presente in 40 paesi, è stata quotata alla borsa di Francoforte per 996 milioni di euro. Dopo l’annuncio del mancato raggiungimento del break even a livello mensile entro il 2018 e quello annuale nel 2019 il titolo ha perso fino all’8%.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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