L’OCSE boccia l’Italia, istruzione sotto la media dei Paesi sviluppati

L’OCSE boccia l’Italia, istruzione sotto la media dei Paesi sviluppati

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Il grado di istruzione in Italia mediamente non è affatto soddisfacente. Se non fosse ancora del tutto evidente, almeno dal tono e dal livello dei contenuti delle campagne più social approdate perfino in Parlamento, ce lo rivela ora il rapporto annuale dell’Ocse, Education at a glance 2018, presentato ieri alla Luiss, che focalizza lo sguardo sull’educazione dei 36 Paesi aderenti all’organismo. E uno dei motivi, secondo gli studiosi dell’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, è che il sistema scolastico italiano, dalla primaria all’università, non funziona affatto bene, è organizzato e pianificato in modo troppo centralizzato e ha il corpo docente più anziano e tra i meno pagati al mondo.
IL TASSO DI SCOLARIZZAZIONE infatti è appena sufficiente nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni (l’83%, poco sotto la media Ocse dell’85%), ma diminuisce pesantemente in quella successiva, tra i 20 e i 29 anni, con picchi preoccupanti in alcune regioni. In Basilicata, nella Provincia autonoma di Bolzano e nella Valle d’Aosta i tassi di scolarizzazione sono inferiori del 10% rispetto alla media nazionale e scendono addirittura a -25% in altre cinque regioni: Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Provincia autonoma di Trento e Toscana. Anche il numero di laureati è inferiore agli altri Paesi dell’area – 27 ogni cento persone, contro i 44 della media Ocse, più donne che uomini – malgrado sia cresciuto costantemente negli ultimi dieci anni (erano il 19% nel 2007), e diventa addirittura quasi irrilevante tra gli adulti, con 4 laureati ogni cento persone tra i 35 e i 65 anni (sono 17 in media negli altri Paesi).

D’ALTRONDE, RIVELA il rapporto, solo il 19% delle persone che provengono da famiglie non istruite ha superato il livello di istruzione dei genitori. Perché le pari opportunità in Italia sono ancora un orizzonte da raggiungere. Gli immigrati per esempio: gli adulti laureati nati all’estero hanno molte meno probabilità di trovare un lavoro rispetto agli autoctoni. Condizione che si ribalta per le persone con un titolo di studio inferiore al grado secondario superiore. Ecco perché in Italia si stabiliscono soprattutto immigrati scarsamente qualificati che competono sul mercato del lavoro con gli italiani senza titolo di studio.

ANCHE I GIOVANI NEET (che non studiano, non lavorano e non cercano impiego) superano di 4 punti percentuali la media Ocse, con il 30% dei 20-24enni, e addirittura in alcune regioni si arriva al 38% dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni. Il numero di ragazze inattive è molto maggiore di quello dei ragazzi, anche tra le laureate. D’altronde i giovani hanno meno prospettive lavorative degli adulti, soprattutto nel Sud e nelle isole, dove il tasso di occupazione giovanile è inferiore del 22% rispetto all’insieme della popolazione in età lavorativa (-14% nel Centro e -9% nel Nord). Perfino tra i laureati, il tasso di occupazione giovanile è molto inferiore rispetto a quello degli adulti.

SUCCEDE POI che gli italiani vadano sempre più all’estero per laurearsi: +36% negli ultimi tre anni, mentre il numero di studenti stranieri iscritti all’università in Italia è aumentato solo del 12% perché, secondo il rapporto, le competenze trasmesse dall’università non sembrano quelle ricercate dalle imprese.

Evidentemente un motivo c’è. Rivelano gli studiosi dell’Ocse che gli insegnanti italiani continuano a essere tra i più anziani nel panorama internazionale (il 58% ha più di 50 anni). E i loro stipendi sono inferiori alla media dei 36 paesi aderenti all’organizzazione (mentre il divario tra la retribuzione degli insegnanti e quella dei dirigenti scolastici è il più elevato). Al top della carriera, il salario di un docente raggiunge tra il 79% (scuola primaria) e l’86% (scuola pre-primaria) della media Ocse a un analogo livello. Di contro, le ore di insegnamento nette vanno dalle 945 della pre-primaria alle 626 della scuola secondaria, sotto le medie Ocse (1.029 nella pre-primaria, 701 per la secondaria inferiore e 655 per la superiore). E le classi sono leggermente meno numerose della media. Da notare che il corpo docente è composto per la grande maggioranza da donne.

COMPLETA IL QUADRO la spesa complessiva dello Stato italiano per tutti gli istituti di istruzione, dalla scuola primaria all’università, che nel 2015 equivaleva al 3,9% del Pil, contro il 5% medio dei Paesi industrializzati e il 4,6% dell’Unione europea. Una spesa, per altro, che era diminuita dopo il 2010 (con i premier Monti e Letta) ed è ritornata allo stesso livello precedente solo nel 2015. Infine, la governance: secondo l’Ocse oltre la metà delle decisioni sono prese a livello centrale, ovvero il 52% rispetto al 24% in media nei 36 Paesi dell’organizzazione.

* Fonte: Gilda Maussier, IL MANIFESTO



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