Come prevedibile, arriva la bocciatura della Ue, ma la manovra non cambia
Lo scoppio è fragoroso ma la carica esplosiva è di potenza limitata. Come previsto la commissione europea ha respinto la legge di bilancio italiana, per la prima volta nella storia dell’Unione, dando all’Italia tre settimane per riscrivere una manovra di fatto tutta diversa. La mossa estrema è stata fatta con dispiego di mezzi coreografici, appena 24 ore dopo l’arrivo della risposta del ministro italiano Tria al precedente ultimatum di Bruxelles, a borse ancora aperte, quasi in concomitanza con una seduta plenaria del Parlamento.
I DUE FIRMATARI della lettera di respingimento, il vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis e il commissario all’Economia Pierre Moscovici, hanno spiegato in conferenza stampa una decisione che giurano essere stata sofferta. Toni appena modulati: più rigido il lettone, ma per nulla morbido neppure il francese. «Non vediamo alternative. L’Italia sta apertamente e deliberatamente andando contro gli impegni che aveva preso», ha esordito Dombrovskis. «La zona euro – ha proseguito – si basa su una questione di fiducia. Se viene erosa ne vengono danneggiati tutti gli Stati membri e la moneta unica». «La porta è sempre aperta», ha assicurato però Moscovici dopo aver ripetuto che gli appunti non sono rivolti al contenuto delle misure che l’Italia intende adottare ma solo all’«impatto di queste politiche di bilancio sui cittadini».
La lettera, per la verità, nel merito delle scelte italiane invece entra eccome. Segnala che con la revisione della Fornero l’Italia rischia di tornare indietro sulla strada delle «riforme di struttura» e rivela così qual è sin dall’inizio il principale oggetto della contesa.
NELLE PROSSIME TRE settimane, promette Conte, «proseguirà un confronto franco e diretto» con la commissione. Ma con un paletto insuperabile: «Andiamo avanti convinti che la nostra strada è giusta: il 2,4% non si tocca». Meno pacato Salvini che, pur senza arrivare agli effettacci trash dell’europarlamentare leghista Ciocca, che si è messo gli appunti di Moscovici sotto le scarpe di fronte allo sguardo allibito del commissario, va comunque giù pesante: «Non attaccano un governo ma un popolo. Ascoltiamo tutti ma andiamo avanti». Fermezza assoluta anche da parte di Di Di Maio: «Con la bocciatura Ue non arrivano le cavallette». E persino del sempre pacato Giorgetti: «Siamo fermi sulle nostre posizioni, ma se sbagliamo siamo pronti a correggere la spesa con meccanismi automatici».
L’ESITO DELLE TRATTATIVE delle prossime tre settimane è dunque già scritto. Non significa però che debbano passare invano. E’ possibile avvicinare le posizioni, pur dando già per scontate sia la risposta negativa dell’Italia che il conseguente avvio di una procedura d’infrazione per debito eccessivo. Probabilmente mira realisticamente a questo il capo dello Stato quando coglie l’occasione del discorso a Rimini di fronte ai sindaci dell’Anci per rimarcare che «la logica dell’equilibrio di bilancio non è quella di un astratto rigore». Un monito rivolto tanto al governo quanto alla commissione, in vista se non di una pace oggi impossibile almeno di una riapertura di confronto.
MA QUESTE SONO prospettive distanti. Al momento la procedura d’infrazione è praticamente certa. Riguarderà il debito, non il deficit, dal momento che il tetto del 3% fissato da Maastricht non è stato varcato. I tempi saranno lunghi, ma la commissione cercherà probabilmente di snellirli. La multa, prevedibilmente intorno ai 4 miliardi, arriverà in primavera e va da sé che il procedimento offrirà frecce appuntite alla propaganda elettorale del Carroccio.
E’ UN PREZZO SALATO ma non salatissimo quello che il governo gialloverde dovrà pagare per quella che al momento si configura come un vittoria politica.
L’obiettivo di Salvini e Di Maio era dimostrare che all’Europa si può rispondere di no senza conseguenze disastrose. Se l’affondo della commissione non comporterà conseguenze disastrose sui mercati la coppia gialloverde potrà dire di aver raggiunto la meta, e metterla poi all’incasso elettorale. I prossimi giorni saranno dunque delicatissimi. Per ora lo spread non si è avvicinato alla vera area di pericolo, i 400 punti, ma ieri Moody’s ha declassato una lunga lista di banche italiane, oggi arriverà l’impatto della bocciatura europea, ieri contenuto, venerdì piomberà il downgrade di S&P, che potrebbe essere accompagnato, a differenza di quello di Moody’s della settimana scorsa, da outlook negativo. Per il governo italiano saranno giorni tra i più lunghi. Le previsioni sono ottimistiche, ma le dita resteranno ben intrecciate.
* Fonte: Andrea Colombo, IL MANIFESTO
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