Il Fondo monetario taglia le stime del Pil

Il Fondo monetario taglia le stime del Pil

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Un’altra giornata da brivido sui mercati finanziari con lo spread che sembrava volersi avviare verso i 320 punti base. Non appena il Fondo monetario internazionale ha diffuso le sue stime al ribasso sul rapporto deficit/pil in Italia, i grandi investitori e gli speculatori più famelici, che guardano attentamente cosa sta succedendo in Italia per intervenire al momento giusto, hanno dato ordine di vendere tonnellate di titoli di Stato, facendo schizzare lo spread molto oltre i 300 punti base. Nel sistema bancario italiano è tornata la paura della debacle patrimoniale, tanto che la Banca d’Italia si è vista costretta a lanciare un severo monito al governo Lega-M5S per evitare che con l’aumento dello spread le banche appesantiscano ulteriormente i loro bilanci.

Nei dintorni di palazzo Chigi qualcuno ha temuto un clima simile al 2011, anche perché, a dispetto dell’Fmi, tutta la manovra si giustifica su una crescita del prodotto interno lordo e dunque sulla diminuzione del rapporto deficit/pil. Se si tiene conto poi del fatto che la valutazione del Fondo monetario si basa sulla nota di aprile, precedente alla scelta di fare deficit fino al 2,4%, si capisce perché i mercati erano così nervosi.

Ma vediamo qualche cifra di questo martedì da paura. Il differenziale di rendimento tra il decennale benchmark italiano e il Bund benchmark, ha terminato la giornata a 299 punti base, dai 302 punti della chiusura di lunedì, e dopo un massimo intraday a 316 punti. In calo anche il rendimento del Btp benchmark decennale che ha chiuso al 3,54% dal 3,57% di ieri (dopo un top al 3,72% in tarda mattinata). Le cifre più brutte le ha fornite l’Fmi. Gli analisti del Fondo monetario scrivono nero su bianco che il rapporto deficit/pil sarà peggiore del previsto. È quanto emerge da un confronto delle tabelle del World Economic Outlook pubblicato nella notte e quelle dell’edizione dello scorso aprile. Dopo avere chiuso il 2017 al 131,8%, il ratio è visto calare al 130,3% nel 2018 e non più al 129,7%; nel 2019 è atteso calare al 128,7% e non più al 127,5%; nel 2023 (l’anno a cui si fermano i calcoli del Fondo) la previsione è pari a un 125,1% e non più al 116,6% calcolato in primavera. Nel 2017, tra le economie avanzate ad avere fatto peggio dell’Italia secondo il Fondo è stato ancora una volta il Giappone con un debito/pil al 237,6%.

Come Bankitalia il Fmi si spinge oltre l’analisi e dà al governo italiano consigli di politica economica che non saranno certo graditi da Salvini e Di Maio. «Le passate riforme sulle pensioni e sul mercato del lavoro dovrebbero essere preservate e misure ulteriori dovrebbero essere perseguite come ad esempio la decentralizzazione delle contrattazioni salariali a livello aziendale per allineare gli stipendi alla produttività». Il Fondo è convinto che la situazione dell’Italia e le prospettive della Brexit siano questioni «di importanza sistemica» e sottolinea che per il nostro paese «c’è un imperativo reale nelle scelte di politica fiscale a mantenere la fiducia dei mercati». A dare voce alla «preoccupazione» dell’Fmi è il consigliere economico Maurice Obstfeld, in conferenza stampa per la presentazione del World Economic Outlook.

L’altro fronte di allarme viene dal sistema bancario. L’allargamento dello spread Btp-Bund pesa sugli indici patrimoniali delle banche italiane ma il livello che dovrebbe toccare per costringerle a ricapitalizzarsi è «praticamente impossibile» da raggiungere, trattandosi di una soglia ben superiore ai 500 punti base a cui lo spread si è spinto nel 2011. Lo sostengono gli analisti di Fidentiis in un report. Una valutazione ottimistica in contrasto con quanto scritto lunedì da Credit Suisse che valutava insostenibile uno spread a 400.

Piazza affari dopo una giornata di montagne russe ha ripreso fiato. Si è celebrata infatti la prima seduta di recupero dopo tre cali consecutivi che hanno comportato un tonfo complessivo del 4,3%. Il Ftse Mib, al termine di una giornata nervosa sia sull’azionario sia sui titoli di Stato, è salito dell’1,06% risultando il migliore in Europa favorito anche dal leggero ridimensionamento dello spread.

* Fonte: Bruno Perini, IL MANIFESTO



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