Il sussidio di povertà, detto «di cittadinanza», dal primo aprile 2019

Il sussidio di povertà, detto «di cittadinanza», dal primo aprile 2019

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Workfare all’italiana. La risoluzione di maggioranza M5S-Lega sul Def evoca una riforma epocale dei centri per l’impiego, ma in tre mesi basterà dire di avere “avviato” il processo per provare ad andare all’incasso alle elezioni europee. Ecco perché il governo è convinto che l’aumento della “partecipazione” dei poveri italiani (ma non degli stranieri) al mercato del lavoro serva ad aumentare il Pil

L’«avvio» del sussidio di povertà chiamato impropriamente «reddito di cittadinanza», della «pensione di cittadinanza» e rafforzamento dei centri dell’impiego» è previsto ad aprile 2019. Lo ha confermato la risoluzione di maggioranza sull’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Def) firmata dai capigruppo Massimiliano Romeo (Lega) e Stefano Patuanelli (Cinque Stelle). «La nostra intenzione é cercare di partire con il reddito di cittadinanza e quota 100 dopo il primo trimestre» ha detto Patuanelli. «Avvio» è un concetto sufficientemente vago da ammettere l’impossibilità di una trasformazione epocale dei centri per l’impiego «entro marzo» 2019 e da confermare l’intenzione del governo di «colpire la povertà» ma anche di non permettere alla «gente di sedersi e di cercare un lavoro» ha detto ieri al Senato durante la replica sul Def il ministro agli affari europei Paolo Savona, facente funzioni del ministro dell’economia Tria e della sua vice Castelli. Più che «colpire la povertà», il progetto è quello di governare la precarietà al fine di trasformare una parte cospicua dei 3,6 milioni di «poveri assoluti» italiani (ma non 1,6 milioni di stranieri residenti nelle stesse condizioni) in «forza lavoro potenziale», occupata «un minimo di 8 ore settimanali in lavori di pubblica utilità per le comunità locali ha scritto Pasquale Tridico, consulente del ministro del lavoro Luigi Di Maio in un post sul «blog delle stelle» – a frequentare percorsi di riqualificazione professionale che permettano di transitare nuovamente verso il mondo del lavoro».

DA QUESTA VISIONE transizionale del mercato del lavoro emerge il progetto, più volte ribadito nei giorni affannati della discussione sul Def, di un presunto «effetto moltiplicatore» sul Pil del 2019 pari all’1,67%, se accoppiato agli «investimenti» e ai tagli fiscali denominati «flat tax». Insieme alle altre misure previste dal Def, questa messa al lavoro dei «poveri assoluti» dovrebbe produrre il grande balzo populista dall’attuale 0,9% all’annunciato, e contestato, 1,5% del Pil. Tridico ha esposto questa teoria sin da quando era candidato in pectore al ministero del lavoro. «Per il prossimo anno – scrive nel post con un titolo alla Woody Allen (che pensava a tutt’altro argomento) «Tutto quello che devi sapere sulla manovra del popolo» – un aumento del Pil potenziale, attraverso l’inserimento di forza lavoro nel tasso di partecipazione, ed un aumento conseguente dell’output gap, con maggiori guadagni di spazio fiscale per il governo».

L’«AVVIO» DELLA RIFORMA dei centri per l’impiego, necessari per giustificare la posta economica di una decina di miliardi di euro complessivi, serve ad alzare il tasso di occupazione tra i più bassi nei paesi Ocse. Grazie all’attivazione dei «poveri assoluti» alla ricerca di un lavoro si intende risolvere la divergenza sul calcolo della crescita che contrappone da anni i governi alla Commissione Ue. Al di là dell’effettiva realizzabilità della teoria – lo si vedrà l’anno prossimo, se e come la maggioranza supererà le elezioni europee a maggio 2019 – va registrato l’uso politico e neocapitalistico della vita di coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà.

IN MANCANZA di un vero testo sistematico di legge restano sul tavolo solo alcune tracce e allusioni a un complesso processo di trasformazione neoliberale. La viceministra al Mef Laura Castelli sostiene di lavorare «notte e giorno perché sia possibile» che i centri per l’impiego siano pronti «a marzo». Questo significa: informatizzare i centri connettendoli con altre banche dati; nuove, imprecisate, assunzioni; formazione del personale specializzato; probabilmente, una nuova governance con le agenzie interinali e le regioni che condividono il mercato pubblico- privato del collocamento e della formazione. Alla fine basterà dire di avere «avviato» qualcosa. Impresa titanica. Si può comprendere come qualcuno perda il sonno.

IL MINISTRO DEL LAVORO Di Maio si sta dedicando all’impresa, cercando di fare quadrare il cerchio. Martedì prossimo incontrerà gli assessori al lavoro delle regioni per definire le modalità operative del «rafforzamento» dei centri per l’impiego. L’obiettivo è costruire il cosiddetto «modello dei Servizi per il Lavoro», probabilmente un’entità Stato-regioni che coordinerà una «politica attiva», sempre evocata negli ultimi anni con risultati a dir poco deludenti. In tre mesi si punta ad «avviare» quello che non è mai accaduto in venti e più anni. Serve, inoltre, «procedere con celerità alla stabilizzazione del personale precario – ricorda la Fp Cgil – per ridisegnare il sistema e rispondere così alle esigenze dei territori».

DI MAIO, ancora ieri, ha rinnovato il suo appello a non considerare il sussidio di povertà come una misura «assistenzialistica»: «non diamo soldi a pioggia e uccide il voto di scambio». Con questo ha evocato le sanzioni penali fino «a sei anni di carcere» per chi froderà lo Stato lavorando in nero o acquistando beni non ancora precisati con un sussidio risultato della differenza tra 780 euro, il reddito Isee e la capacità morale del beneficiario di rispondere alle norme di chi dirà di avere «abolito la povertà» e avere garantito la «tenuta sociale dell’Italia». Resta da capire cosa accadrà a chi non è all’altezza di queste prescrizioni; non avrà un beneficio reale e si sottrarrà, come già accade in altri paesi dove esiste un sistema di workfare, come in Germania; non penserà al suo «bene» stabilito da criteri morali ed economici. Si dirà che non risponde a ciò che vuole il «popolo»? Considerata la violenza delle sanzioni annunciate, questa «sicurezza» fa paura.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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