La febbre dello Spread sopra i 300 punti. Piazza Affari maglia nera.

by Bruno Perini * | 9 Ottobre 2018 9:05

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«Di irreversibile c’è solo la morte. Ma comunque ad ora non c’è l’intenzione di toccare la moneta unica». Sono bastate queste poche parole di Matteo Salvini per far tornare nei circoli finanziari europei lo spettro dell’uscita dall’Euro e per gettare lo spread oltre gli insidiosi 300 punti base. Hai voglia a spiegare agli operatori di palazzo Mezzanotte, sede della Borsa di Milano, che Salvini ha aggiunto: «I miei figli cresceranno in un condominio europeo con euro in tasca, l’uscita dall’euro non è all’ordine del giorno, non oggi, domani o dopodomani». I più navigati tra gli investitori italiani ed esteri sospettano che dietro quella cautela l’idea della reversibilità non sia mai stata abbandonata, il cosiddetto piano B non sia mai stato archiviato e temono che se il conflitto tra le istituzioni europee e il governo Lega-M5S arrivasse alla bocciatura della manovra e alla rottura, quel piano potrebbe essere ripreso in considerazione e l’Italexit diventare realtà.

Ma non è soltanto quella frase del vicepremier che ha portato allo sfondamento dello spread oltre i 300 punti e spinto la Borsa verso un altro crollo. La minaccia più incombente riguarda le società di rating: a fine ottobre Standars&Poor’s e Moody’s emetteranno il loro verdetto sull’Italia. Se si limiteranno, come ha fatto a luglio Fitch a confermare il rating BBB rivedendo al ribasso solo l’outlook da «stabile» a «negativo» il governo potrà tirare un respiro di sollievo. Ma gli operatori finanziari e gli investitori sanno bene che quel giudizio di Fitch avvenne prima che il governo Conte scegliesse la strada della spesa in deficit del 2,4%. Da luglio le cose sono peggiorate e c’è il forte rischio che questa volta il rating dell’Italia sia bocciato. Questo trasformerebbe i nostri titoli in junk bond: spazzatura.

Ieri le Borse europee hanno chiuso in rosso, maglia nera per Milano con lo spread tornato ai livelli del 2013: ha chiuso a 305 punti, dopo aver toccato la vertiginosa vetta dei 310. Il mercato è ad alta tensione perché teme la bocciatura formale della manovra italiana da parte della Commissione Ue. L’euro è scivolato sotto quota 1,15 dollari. A fine seduta l’indice Ftse Mib ha ceduto il 2,43% a 19.851, sotto pressione in particolare il comparto bancario. Peggior performance per Banco Bpm che ha perso il 6,47%, flessioni oltre il 4% per Ubi Banca, Mediobanca, Mps, Finecobank e Generali. Unicredit ha lasciato sul terreno il 3,56%, mentre Intesa Sanpaolo ha ceduto il 3,26%. Atlantia segna -1,56% a 17,64 euro.

In mattinata poi un report di Credit Suisse ha acceso l’allarme rosso in tutto il sistema bancario, aprendo uno scenario da paura. Se lo spread dovesse allargarsi ulteriormente le banche italiane potrebbero essere costrette a nuovi aumenti di capitale, avverte il colosso elvetico. Non si tratta solo di un problema tecnico ma di uno scenario che potrebbe coinvolgere milioni di risparmiatori. «Lo spread sopra i 400 punti base non è sostenibile», spiega il report. «Un ampliamento di 200 punti base dai 238 di fine giugno ridurrebbe in media il Cet1 (principale indicatore di solidità patrimoniale, ndr) di 66 punti base, dal 12,53% all’11,87%» per le banche monitorate da Credit Suisse, «facendo scattare aumenti di capitale». Gli analisti svizzeri stimano inoltre un impatto negativo del 3,9% sugli utili delle banche dalla riduzione della deducibilità degli interessi passivi dal 100 all’86%. Il vero timore è che si diffonda tra i risparmiatori il panico per i propri soldi con un effetto a catena sui bilanci degli istituti.

Intanto i conti sullo spread sono da brivido: la spesa dei tassi d’interesse sui titoli di Stato italiani sale di 6 miliardi nel biennio 2018-2019. Secondo le analisi dell’Osservatorio dei conti pubblici di Carlo Cottarelli, al 30 agosto la stima è aumentata di 113 milioni nel 2018 e 1,4 miliardi nel 2019: in totale 1,5 miliardi. Dalle precedenti previsioni (al 14 giugno) emergeva un incremento della spesa di 785 milioni per il 2018 e 3,7 miliardi per il 2019, per un totale di 4,5 miliardi. Sommando 1,5 miliardi, relativi agli ultimi due mesi, a 4,5 miliardi delle vecchie stime si ottengono 6 miliardi di maggiore spesa per interessi.

* Fonte: Bruno Perini, IL MANIFESTO[1]

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