La manovra economica andata e ritorno da Bruxelles. Il governo si prepara al no

by Andrea Colombo * | 23 Ottobre 2018 10:13

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«Se la commissione rinvierà la manovra ci siederemo e dialogheremo»: l’obiettivo del governo italiano nella partita a scacchi con Bruxelles è svelato da questa frase di Conte. Bisogna evitare a tutti i costi una rottura completa e definitiva. Se anche si dovesse arrivare alla formula inaudita del respingimento totale, come è quasi certo, dovrà trattarsi solo di un ulteriore passaggio, giusto un po’ più brusco degli altri. Non di un passo senza ritorno.

E’ QUESTA “FILOSOFIA” che ispira dalla prima all’ultima riga, nella forma come nella sostanza, la lettera di risposta alla commissione che il ministro Tria ha fatto partire ieri alle 12 in punto. In concreto, il governo offre alla commissione una doppia clausola di garanzia: se i conti si dimostreranno errati, se deficit e debito dovessero salire ben più del previsto, l’intervento correttivo sarebbe immediato, «adottando tutte le misure necessarie», se invece le cose dovessero andare meglio delle previsioni, verrà «anticipato il rientro» del deficit strutturale negli obiettivi fissati e ora trasgrediti. Tria infatti ammette senza perifrasi che le «difficili ma necessarie» scelte fatte e «l’impostazione della politica di bilancio» adottata, non sono «in linea con le norme applicative del Patto di stabilità». Sia Conte che Salvini chiariscono comunque che le eventuali «misure necessarie» non comprenderanno una patrimoniale. Potrebbero venir diluiti i punti salienti, quota 100 e reddito di cittadinanza, e potrebbero essere necessari dolorosi tagli. In ogni caso non se ne parlerà prima del luglio prossimo, a elezioni avvenute.
Nella forma la missiva di Tria rende omaggio alla commissione con l’esplicito riconoscimento iniziale dell’autorità delle istituzioni europee e soprattutto, con la solenne affermazione conclusiva: «Il posto dell’Italia è in Europa e nell’area euro». Quasi nello stesso momento, in conferenza stampa, Conte ribadisce: «Non mettiamo in discussione il ruolo della commissione. Non siamo degli scalmanati».

PUR SENZA MODIFICARE l’impianto della manovra, nonostante le pressioni di Confindustria, dei sindacati e dell’Ufficio parlamentare di bilancio che prevede una crescita minore del previsto (un decimale in meno) già quest’anno, il governo ha dunque deciso di accettare almeno gli inviti del Quirinale a una maggiore diplomazia. Senza illudersi che sia sufficiente. La reazione della commissione, con il rinvio della manovra e tre settimane di tempo di fatto per riscriverla, è previsto per oggi. Se anche dovesse ritardate sarà al massimo per uno o due giorni. A quel punto però sarà fondamentale tenere uno spiraglio aperto e proprio per questo Conte e i vicepremier si sono visti ieri sera (oltre che per parlare di Rai e Consob): per mettere a punto una strategia diplomatica che eviti la rottura totale.

LE ARMI A DISPOSIZIONE della commissione sono in realtà poche. Il 5 novembre il caso italiano arriverà all’Eurogruppo, l’avvio della procedura d’infrazione è certo, se sarà possibile i tempi saranno accelerati. Ma le sanzioni possibili sono limitate, intorno ai 4 miliardi, e ci vorrà comunque del tempo. Da quel punto di vista il governo sa di avere poco da temere. La vera nota dolente è quello che la Ue può non fare, ed è lì che si annida il rischio di rappresaglia. Se nelle prossime settimane o mesi lo spread dovesse correre e superare i 400 punti le fragili banche italiane sarebbero le prime a entrare in sofferenza. A quel punto la Ue potrebbe negare ogni aiuto, concedendoloo solo alle banche estere coinvolte, con la formula «vi siete messi fuori dalle regole europee». E’ quello a cui mirano i duri, in particolare i sovranisti austriaci che sulla carta dovrebbero essere alleati di Salvini ma sono in realtà i più rigidi. «L’Austria non è pronta a sostenere i debiti degli altri Paesi che scientemente contribuiscono all’incertezza dei mercati». Dunque, nonostante il respingimento della manovra, il quasi certo downgrade da parte di S&P venerdì e il possibile outlook negativo della stessa agenzia, bisogna fare in modo che lo spread non arrivi a mettere in crisi il sistema finanziario.

PER EVITARLO è fondamentale che ai dubbi sulla sostenibilità del debito italiano, in realtà limitati, si sommino quelli, più diffusi, radicati e dannosi, sulla sua permanenza nell’euro, sia per una uscita volontaria sia per una cacciata di fatto. Più il conflitto con la Ue si fa estremo più sale il rischio di ridenominazione, cioè di uscita dall’euro, e più i mercati reagiscono con una turbolenza che potrebbe superare i livelli di guardia. Per questo la missione che ieri sera Conte, Salvini e Di Maio dovevano mettere a punto era tra le più difficili: sfidare l’Europa ma evitando reazioni tali da creare dubbi su una possibile rottura totale, tale da mettere in forse la permanenza nell’eurozona.

* Fonte: Andrea Colombo, IL MANIFESTO[1]

photo: Di Pierre_Moscovici_-_meeting_PS_de_Besançon_(10-04-2012)_-_1.JPG: Toufik-de-planoisederivative work: Pymouss [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], attraverso Wikimedia Commons

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