Pensioni. Quota 100, se anche Boeri imbocca la strada della demagogia

Pensioni. Quota 100, se anche Boeri imbocca la strada della demagogia

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A cui Salvini può rispondere facilmente. Mettendo in secondo piano le giuste critiche: la Lega premia i lavoratori ricchi del Nord e penalizza donne e precari

Se anche il presidente dell’Inps Tito Boeri da valente studioso inizia a lanciare numeri per fare notizia, significa che anche lui sta prendendo la strada della demagogia.
Sostenere che Quota 100 porterà «ad un incremento nell’ordine di 100 miliardi del debito pensionistico» rientra pienamente nelle cifre ad effetto. Si può rispondere a Boeri imboccando la stessa strada: la riforma Fornero produce 800 miliardi di risparmi sul debito pubblico: otto volte tanto Quota 100.
La questione «pensioni» e la revisione della riforma Fornero riguarda la vita di milioni di persone. Affrontarla con serietà eviterebbe di portare acqua al populismo più bieco.
E invece Boeri non si ferma alla stima sui costi di Quota 100 ma va in difesa del vero dogma dell’austerità, intoccabile per Fmi, commissione Ue e Bce: l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Un meccanismo che in apparenza è logico ma nella versione adottata dal ministro Maroni nel 2004 e accelerato nella sua implementazione dalla riforma Fornero è semplicemente folle: tutto l’incremento dell’aspettativa di vita (i mesi che in media si vivono di più senza distinzione fra le mansioni svolte) vengono scaricati sull’età pensionabile come se la nostra vita fosse fatta di lavoro. Cancellando la parte fino all’ingresso nel mondo del lavoro (infanzia e formazione) e quella della stessa pensione post lavoro pari almeno a metà dell’esistenza: in questo modo dovrà andare in pensione sono già stati affibbiati 6 mesi sui 12 totali di innalzamento senza ragione, allontanando verso quota 70 anni di età l’età pensionabile per chi oggi ha dai 50 anni in giù.
La sparata sulle stime sui costi e la difesa dell’adeguamento automatico hanno permesso a Salvini di rispondere per le rime («Boeri si dimetta e si candidi») e – soprattutto – messo in secondo piano le giuste critiche sugli effetti di Quota 100.
Boeri infatti ha completamente ragione quando denuncia che le modifiche proposte dal governo giallo-verde «porteranno ad avvantaggiare soprattutto gli uomini, con redditi medio alti e i lavoratori del settore pubblico». Si è dimenticato solamente di aggiungere che il vantaggio ha un’area geografica precisa: il Nord leghista dove la crisi economica ha colpito meno e i contributi versati hanno meno «buchi».
Ancora più azzeccata la denuncia sulla doppia penalizzazione delle donne: «Tradite da requisiti contributivi elevati (i 38 anni necessari per Quota 100, ndr) quando hanno carriere molto più discontinue degli uomini e dall’aver dovuto subire sin qui, con l’opzione donna (possibilità di andare in pensione a 57 anni con ricalcolo contributivo totale, ndr) riduzioni molto consistenti dei trattamenti pensionistici, quando ora per lo più gli uomini potranno andare in pensione prima senza alcuna penalizzazione».
Rimane invece fuori bersaglio il solito riferimento da guerra generazionale: se si fanno andare in pensione i 62enni «i più colpiti saranno i giovani». È un refrain ormai logoro e senza basi: a tagliare e ad allontare la pensione ai giovani è stata la stessa riforma Fornero.
Una critica più oculata è invece denunciare la continuità di questo governo con i precedenti nel non prevedere alcuna norma previdenziale a tutela di giovani e precari. A cominciare da una pensione di garanzia che garantisca un assegno dignitoso riempendo i buchi contributivi a fine carriere e dunque dopo la famosa «gobba» di spesa del 2042.

* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO



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