Sergio Cofferati: «Basta con le tensioni, Landini scelta giusta per il futuro Cgil»

Sergio Cofferati: «Basta con le tensioni, Landini scelta giusta per il futuro Cgil»

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«La normale dialettica si è trasformata in contrapposizione: si rischia di produrre una frattura profonda tra i dirigenti e soprattutto di disorientare i lavoratori»

Prima di cominciare questa intervista Sergio Cofferati fa una «doverosa premessa». «Non sono mai intervenuto sulle vicende della Cgil in questi anni perché penso sia giusto così e per rispetto di quelli che sono venuti dopo di me. Questa volta mi sento di farlo perché davvero sono molto preoccupato».

Cofferati, i toni di queste settimane in Cgil sono sempre più alti. Teme per la stessa sopravvivenza dell’organizzazione sociale più rappresentativa nel paese?
Ho timore di una Cgil nella quale la normale dialettica si trasforma in una contrapposizione che indebolisce l’organizzazione. Si è creata una tensione che rischia di produrre una frattura profonda tra i dirigenti e soprattutto di disorientare i lavoratori e chi ti osserva con simpatia.


Non giriamoci attorno. La tensione scoppia per la scelta di Susanna Camusso di proporre Maurizio Landini come suo successore: viene contestato il metodo più che il nome.
Come e perché si è arrivati a questo punto? A parte la contrapposizione fra dirigenti al Direttivo, sui social i militanti si scambiano accuse.
È quello che non capisco. Provo a mettere in fila i fatti come farebbe un semplice iscritto ai pensionati, come sono, con l’affetto immaginabile di chi ha passato tanti anni nella dirigenza. C’è un congresso in una fase molto delicata e problematica della vita del paese in cui una cultura di desta anche estrema si è riaffacciata con una violenza preoccupante verso i migranti e la costituzione. Il congresso, per quello che è stata storicamente la Cgil, è un momento molto impegnativo e delicato specie in questo momento quando il ruolo della rappresentanza sociale è ancora più importante. Il congresso era partito bene perché la discussione era su un documento sostanzialmente unitario. Una linea condivisa che affronta vari temi: crescita e sviluppo che mancano, il rispetto dei diritti individuali e collettivi e di solidarietà non difesi dai governi di centrosinistra. Il tutto con un sforzo di proposte e approfondimento. Ad un certo punto la situazione cambia radicalmente ed esplode una tensione incomprensibile e ingiustificata.

Vedo agitare temi di metodo che secondo me non hanno ragion d’essere sull’individuazione del futuro segretario generale. Oltre che possibile, è credibile che ci sia unità così larga sulla proposta politica e una divisione così aspra sulla scelta del segretario? È un quesito inquietante perché sarebbe drammatico scoprire cammin facendo che in verità l’unità non è data. Diversamente chiunque è legittimato a pensare che ci sia un non detto che mette in secondo piano il merito. Se esiste invece una differenziazione di linea politica, andava messa in campo prima. Io non credo sia così e allora se la linea politica è condivisa la Cgil deve scegliere la persona che meglio può aiutare l’organizzazione a interpretarla in una gestione corale e collegiale. La segretaria generale ha quindi il dovere, prima ancora del diritto, di individuare una ipotesi. Due sono le strade percorribili, entrambe legittime e già sperimentate nella storia della Cgil. O il segretario individua una persona o indica una procedura. Questa seconda possibilità è stata usata solo da Bruno Trentin quando ha lasciato la Cgil. Dunque la proposta di Maurizio Landini è pienamente legittima. Questo non impedisce a chicchessia per l’assemblea generale di gennaio di avanzare un’altra proposta.


Proprio il precedente di Trentin viene usato da chi è contrario. Visto che fu lei a diventare segretario generale prevalendo su Alfiero Grandi dopo l’ascolto della commissione di saggi, chi meglio può giudicare il paragone storico?

Nel ricordare quella vicenda c’è un debordare che andrebbe risparmiato soprattutto a Bruno. La Cgil in quel momento era divisa in maggioranza e minoranza congressuali. La minoranza era rappresentata da Fausto Bertinotti, che era appena uscito, non avanzò proposte alternative. Oggi maggioranza e minoranza non ci sono. Anche quella volta la linea nella maggioranza non era in discussione, c’erano due storie diverse. Il tutto avvenne senza tensioni particolari.

Per lei quindi Susanna Camusso, oltre al metodo legittimo, ha fatto anche la scelta migliore nel merito?
Sì. Penso che soprattutto in una fase come questa la scelta di Maurizio Landini possa essere quella più efficace. Lo dico non perché Maurizio abbia avuto un percorso vagamente simile al mio, ma perché la Cgil ha bisogno di un profilo politico e di esperienza come il suo. Ho visto che si affaccia il nome di Vincenzo Colla fra chi non è d’accordo. Vincenzo è un dirigente capace e c’è bisogno di persone come lui nella segreteria confederale.

L’accusa neanche tanto velata che viene fatta a Landini è quella di essere troppo indulgente con il M5s.
Non mi sembra affatto. La caratteristica più importante che incarna Landini è aver maturato un’esperienza anche contrattuale nel campo dell’industria, quello che in questi anni è stato oggetto delle trasformazioni più rilevanti sia come innovazione che come linea di confine con il lavoro che cambia. Aggiungo che Landini in questi anni ha incrociato le organizzazioni di rappresentanza nel modo più fecondo.
Per lei quindi una Cgil a guida Landini può diventare un punto di riferimento anche per ricostruire la sinistra in Italia?
Sì, può diventarlo. Ma non per sostituirsi alla rappresentanza politica. Guai. Ma credo possa essere un elemento di coagulo per la sinistra come capitò alla Cgil qualche decennio fa su un tema come la pace assieme a Tiziano Terzani, Luigi Ciotti, Alex Zanotelli e Gino Strada.

Non ha paura della cosiddetta «fiomizzazione» della Cgil, spauracchio agitato da molti fra i contrari a Landini.
Ma quale fiomizzazione? Novella, Lama, Trentin, Pizzinato e Camusso sono diventati segretari generali della Cgil provenendo dalla Fiom. La prima ed unica parentesi si apre e si chiude con me e Epifani. Io sono sempre stato considerato con una connotazione oggettiva un moderato. Quando ero iscritto al Pci il mio riferimento era Amendola e poi Napolitano. Venivo dai chimici, categoria storicamente più moderata e volta più alla contrattazione che al conflitto. Ma vengo ricordato quasi come un “movimentista”. Ognuno ha la sua storia, dopo di che l’autonomia è il fondamento di un’esperienza confederale: si fanno i conti con la realtà ed è più il contesto e ciò che succede a connotare un segretario. Io entrai da moderato – attaccato fortemente dal Manifesto all’epoca – e uscii da movimentista di sinistra. Ma rimango sempre con le stesse idee.

Questa è stata un’intervista di grande amore per la Cgil. Alla fine pensa che la ricomposizione nel congresso ci sarà? È ottimista?
Sì, lo spero e penso che si possa ottenere. Questa esplosione della discussione interna va ricondotta sui binari dell’esplicita dialettica. Per il bene della Cgil.

* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO



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