Alta voracità. Perché la Tav non è soltanto un treno

Alta voracità. Perché la Tav non è soltanto un treno

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«Ma è solo un treno!», esclamava Pier Luigi Bersani, già segretario del Pd, non riuscendo a capire come intorno alla lotta contro quel «treno» sia cresciuta per 30 anni la più forte, duratura, combattiva, democratica ed ecologica comunità del paese. Proprio mentre il suo partito (“la ditta”), in altri tempi baluardo della democrazia, si stava dissolvendo tra le grinfie di Renzi. In realtà, quello non è «un treno», ma solo un pezzo di treno.

Un binario di 57 chilometri per far correre ad «alta velocità» merci e passeggeri che non ci sono e non ci saranno mai, dentro una galleria scavata in una montagna piena di uranio e amianto, mentre prima e dopo, se e quando la galleria sarà stata fatta, quel treno dovrà accontentarsi delle tratte intasate che la congiungono all’alta velocità Parigi-Lione e Torino-Milano. Perché per far credere che il Tav costi meno la duplicazione di quelle tratte è stata rimandata al dopo: quando ci sarà altro a cui pensare. Perché i cambiamenti climatici provocati dalle tante grandi opere saranno diventati irreversibili.

PER ESIGERE la realizzazione di quel non-treno l’arco delle forze anticostituzionali si è mobilitato sabato scorso a Torino mettendo insieme Salvini, Pd, Forza Italia, Forza nuova e Casapound, con industriali, commercianti, professionisti e sindacati vari, preferendo quell’adunata a una delle 100 manifestazioni delle donne contro il disegno di legge Pillon, che introduce il fascismo nelle famiglie, o al corteo di Roma contro il decreto Salvini, che introduce fascismo in tutto il paese (dandone immediato riscontro con il blocco dei bus che portavano a Roma i manifestanti, con annessa schedatura a futura memoria: quando si tratterà di dar loro la caccia casa per casa?!).

RISULTATO? Una profezia che si avvera: 40mila dovevano essere come al corteo che aveva piegato gli operai della Fiat 40 anni fa, e 40mila sono stati; senza nemmeno il bisogno di contarli. Giornali e Televisioni registrano invece di sfuggita le 100 manifestazioni delle donne, compiacendosi che anche lì siano state loro a prendere l’iniziativa, quasi che gli obiettivi fossero gli stessi.

E SUL CORTEO di Roma, che ha forse doppiato i numeri di Torino, nemmeno uno strillo, manco a cercarlo.
E poi ci si stupisce che Grillo e compagnia diano in escandescenze… così La Stampa (ai bei tempi detta La Busiarda) riempie tutta la prima pagina con una gigantografia dell’adunata (quasi fosse scoppiata la bomba atomica) e un peana al non-treno, cui lega indissolubilmente «responsabilità personale, rispetto del prossimo, istituzioni della Repubblica, legame identitario con l’Europa, forza incontenibile della modernità contro ogni tipo di oppressione».

INSOMMA, la sopravvivenza della civiltà è legata a un filo e quel filo non è l’inversione di rotta per fermare i cambiamenti climatici che stanno distruggendo il paese, il pianeta, e anche il Piemonte, ma un pezzo di treno.
A questa unanimità dei media sembrava fare eccezione Il Sole24ore, che ha affiancato a una foto dell’adunata torinese un articolo su «Il grande spreco del Mose di Venezia – 15 anni di lavori 5,5 miliardi di costi». Poi, leggendolo, sembra che alla fine tutto fili liscio lo stesso, nonostante sprechi, ruberie, corruzione inefficienza e scarsa probabilità che il Mose funzioni.

È CHE gli abitanti di Venezia non sono riusciti ad opporsi al Mose (che non salverà Venezia, ma rischia anzi di sommergerla sotto un’onda anomala) o alle grandi navi con la stessa determinazione con cui in val di Susa si sono opposti al Tav, salvando, per ora, sia la valle che parte dei fondi statali: soldi di tutti.

Ben poche delle persone trascinate in piazza a Torino da questa ventata di amore per quel non-treno – che «ci avvicinerà alla Francia e all’Europa»; proprio quando metà dei promotori, neanche tanto occulti, di quell’adunata strilla ogni giorno contro entrambe – hanno cercato di informarsi sullo stato reale di avanzamento dei lavori, sulle ragioni del no, sulle difficoltà tecniche, economiche e soprattutto su quelle sociali e ambientali che continueranno a ostacolarne la realizzazione.

MA LO SPIRITO del raduno, finalizzato soprattutto a far saltare la giunta Appendino (il che non restituirebbe la città a Fassino, ma la consegnerebbe a Salvini), era illustrata da alcuni cartelli ben in vista in quell’evento storico: «No Ztl»; «Libera circolazione!», ovviamente, delle auto.

A LORO di quel treno forse poco importa: vogliono cacciare l’Appendino per tornare ad andare in ufficio o a fare shopping «in macchina». E tutto questo mentre metà del paese sta letteralmente crollando, affogando e scomparendo, travolta da un maltempo che prefigura i futuri disastri dei cambiamenti climatici. Di cui anche uno sprovveduto dovrebbe ormai accorgersi; e scendere in piazza perché si cambi immediatamente rotta, invece di gingillarsi con quel non-treno che non si farà mai.

* Fonte: Guido Viale, IL MANIFESTO



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