Conferenza di Palermo, foto di gruppo con generali golpisti

Conferenza di Palermo, foto di gruppo con generali golpisti

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I sorrisi nella foto di gruppo della conferenza di Palermo contrastano con l’infelicità della Libia e con la sorte crudele dei migranti di cui più nessuno parla, intrappolati tra torture, estorsioni e stupri, come documenta l’ultimo rapporto di Amnesty International.

La conferenza di Palermo è stata soprattutto un’operazione cosmetica per dare una vernice di provinciale rispettabilità a un conflitto che dura da sette anni e che è diventato un’altra guerra per procura come la Siria e lo Yemen, anche se in modo meno esplicito e più sotterraneo. Ma sotto la vernice abboracciata in fretta dalla nostra diplomazia e il clima da vertice di provincia – certificato dalle assenze di Trump, Putin, Merkel e Macron – si vedono le crepe profonde nella comunità libica e internazionale sigillate dall’abbandono della conferenza da parte della Turchia, irritata per il ruolo di primo piano che si è ritagliato, senza partecipare ai lavori, il generale libico-americano Khalifa Haftar, padrone della Cirenaica.

In compenso lo scenario della Sponda Sud ha visto l’ascesa della nuova star regionale, quel generale Khalifa Haftar, nemico acerrimo dei Fratelli Musulmani nel governo di Tripoli ma anche del Qatar e di Ankara. Ma che diamine, non si possono accontentare tutti e il governo Conte può esibire una foto da sventolare al prossimo summit sotto il naso dei francesi.

L’importante era dire: «C’erano tutti» e sciorinare una serie di immagini tra cui la stretta di mano tra Haftar e Fayez al Sarraj con Conte a fare da mediatore. Ma a Palermo nessuno ha firmato niente e nessuno si è impegnato davvero su nulla. Per sua gentile concessione il generale avrebbe dichiarato che Sarraj può restare la suo posto fino alle elezioni, essendo state rinviate quelle di dicembre come avrebbero voluto Parigi e Tobruk.

Ma al di là dei sorrisi forzati e della suspense per l’arrivo di Haftar, la conferenza non ha fatto altro che ribadire quanto già presentato l’8 novembre all’Onu dall’inviato Ghassam Salamé: convocare un vertice con la pretesa che questo basti a risolvere una crisi è di per sé sbagliato, pensare poi che le fazioni libiche, dalla Tripolitania alla Cirenaica, abbiano raggiunto un’intesa è velleitario.

E a dire il vero lo stesso premier Conte ha messo le mani avanti, anche per mascherare colpe non sue: l’Italia in Libia nel 2011 ha subìto la sua più grave sconfitta dalla seconda guerra mondiale e poi ha contribuito ad abbattere il suo maggiore alleato nel Mediterraneo partecipando ai raid della Nato. Sulla sponda Sud siamo, da tempo, poco credibili. Dietro ai sorrisi più o meno forzati, alle dichiarazioni in apparenza distensive, si sta svolgendo una delle più accese battaglie non solo per le risorse energetiche e finanziarie della Libia ma per la sorte dello stesso Nordafrica e Medio Oriente.

L’Italia che ha portato su una nave da Tunisi a Tripoli Sarraj, costretto per un mese a stare chiuso in una cabina, è sempre stata sbilanciata sulla Tripolitania dove ci sono i maggiori interessi dell’Eni e il terminale di Mellitah del gasdotto Greenstream con la Sicilia, il vero cordone ombelicale tra noi e i libici che ci hanno anche di recente concesso un’altra licenza di esplorazione offshore.

La sostanza di questa vicenda libica è che Haftar ha fatto fuori islamisti radicali e jihadisti, cioè ha vinto almeno in Cirenaica la sua battaglia, mentre i Fratelli Musulmani di Tripoli, appoggiati dal Qatar, altro nemico dei sauditi, sono assai in ribasso nel mondo musulmano e nella Sponda Sud del Mediterraneo.

Haftar si propone di fare piazza pulita degli islamisti come vorrebbe anche Mosca – grande protettrice di Assad in Siria – che in Libia gioca una doppia partita. Da una parte i russi appoggiano Haftar e gli egiziani, che corteggiano per avere nuove basi militari, dall’altra Putin sostiene anche gli sforzi di mediazione dell’Italia per tenere a bada la Francia concorrente più pericoloso di Roma. Se la Russia fa il doppio gioco, gli Stati Uniti ne fanno uno triplo.

Ufficialmente riconoscono il governo di Tripoli e hanno dato all’Italia via libera per la conferenza di Palermo. Ma in realtà preferiscono un ruolo defilato: alla conferenza hanno mandato soltanto un sottosegretario. Non puntano molto su Tripoli e i Fratelli Musulmani ma piuttosto su Haftar, vicino al Cairo e Riad, alleati storici di Washington. In fondo Haftar, che fu coinvolto in un paio di piani di colpo di stato dagli Usa, è cittadino americano da oltre venti anni.

Allo stesso tempo però gli Stati Uniti tengono d’occhio il generale per i suoi legami con Mosca e si servono della Francia per controbilanciare il ruolo dei russi. In una delle foto di Villa Igea si vedono Haftar, Sarraj e Conte che si abbracciano di fronte al sorridente premier russo Medvedev, mancava solo l’altro generale del nuovo tentativo di ordine arabo, l’egiziano Al Sisi, uno che sul caso di Giulio Regeni continua a prenderci per il naso. Che soddisfazione…

* Fonte: Alberto Negri, IL MANIFESTO



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