Il caso Magherini e l’anomala sentenza di Cassazione

by Eleonora Martini * | 18 Novembre 2018 8:29

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«Alfonso Bonafede ha seguito sempre il caso di Riccardo, anche prima di diventare ministro ha partecipato a alcuni eventi ed è venuto in tribunale. Ci ha chiamato per vicinanza, è stata una chiamata da amico non da ministro, e ci ha promesso un suo interessamento». Andrea, il fratello di Riccardo Magherini, l’ex calciatore della Fiorentina morto nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2014 durante un arresto eseguito dai carabinieri, ha impiegato quasi due giorni per ritrovare la parola. Tanto è stato pesante per lui, la sua famiglia e il loro legale, l’avvocato Fabio Anselmo, il colpo inferto dalla Cassazione che giovedì sera ha annullato senza rinvio «perché il fatto non costituisce reato», la condanna per omicidio colposo – emessa in primo grado e confermata in Appello – dei tre militari che quella notte ammanettarono il 40enne fiorentino stendendolo prono a terra, schiacciandolo sul selciato e colpendolo, come confermato dai video girati dai testimoni.

Ora la famiglia spera nell’intervento del ministro di Giustizia: «Oltre ad aver ucciso un’altra volta Riccardo, questa sentenza proclama il funerale dello Stato di diritto nel nostro Paese – aggiunge Andrea Magherini -: scrivere nella sentenza che non costituisce reato vuol dire che le forze dell’ordine possono fermare e picchiare le persone. È grave, siamo in un Paese civile». E il padre Guido, intervistato da Lady Radio annuncia: «Ho qualche bene, e venderò tutto per dare giustizia a Riccardo».

«Un pronunciamento così fatto non se lo aspettava nessuno, neppure i difensori, ha lasciato tutti allibiti», riferisce ora l’avvocato Anselmo, legale anche delle famiglie Cucchi, Aldrovandi e di altre vittime delle violenze delle forze dell’ordine, spiegando che per la Cassazione «non sussisterebbe l’elemento psicologico a carico dei Carabinieri imputati perché o non potevano accorgersi di quanto stava accadendo a Riccardo – e cioè che stava morendo asfissiato sotto di loro – oppure (peggio) perché hanno semplicemente fatto il loro dovere non avendo in quel momento alcuna posizione di garanzia sulla salute e sulla vita di quel “soggetto” arrestato».

Magherini quella notte venne fermato mentre era in preda ad un attacco di panico dovuto all’assunzione di cocaina e stava dando in escandescenze. La Corte d’Appello confermò le condanne di primo grado a 8 e 7 mesi di reclusione per i tre carabinieri basando le motivazioni sulle prove prodotte dai video girati con i telefonini da alcuni abitanti del Borgo di San Frediano che mostravano le modalità con cui avvenne l’arresto, la sofferenza della vittima, i colpi che gli vennero inferti mentre era a terra riverso sul selciato, e le sue urla di aiuto mentre stava morendo. I tre militari obiettarono però di non avere le competenze mediche per distinguere se l’arrestato fosse effettivamente in pericolo di vita oppure se fingesse malore, ma i due gradi di giudizio non confutarono il dato reale dei colpi inferti a Magherini mentre era ammanettato con i polsi dietro la schiena.

La Cassazione invece ha annullato tutto, evidentemente ritenendo che non ci sono prove «oltre ogni ragionevole dubbio». «Non è la prima volta che avviene, certamente, anche se gli annullamenti della Cassazione sono in numero limitato, e quelli senza rinvio ancora meno», spiega il cassazionista Francesco Petrelli, ex segretario dell’ Unione delle camere penali. «Bisognerà leggere le motivazioni per capire, ma certamente il confine tra fatto e diritto, che dovrebbe essere la linea discriminante tra il giudizio di cognizione della Corte d’Appello e il giudizio di legittimità della Cassazione, a volte è incerto». In ogni caso, conclude Petrelli, la Suprema corte «basa il suo giudizio, di metodo e non di merito, solo sul testo della sentenza e sugli atti di impugnazione, perché non ha in mano né le trascrizioni delle udienze, né le perizie, né i video o i documenti prodotti in dibattimento». Proprio per questo appare incomprensibile quella formula che sembra entrare nel merito del caso e contro la quale Anselmo ha annunciato di ricorrere alla Corte europea dei diritti umani.

Ma c’è un precedente: il 23 giugno 2015, con il medesimo relatore Vincenzo Pezzella, la Cassazione annullò senza rinvio anche un’altra condanna (anche questa confermata da due tribunali) per incitamento all’odio e discriminazione razziale nei confronti di un uomo che aveva distribuito a Trieste durante la campagna elettorale delle europee un volantino dove a fianco delle caricature di rom che rubano, di neri che spacciano, ecc. e di Abramo Lincoln attorniato da dollari, c’era il messaggio: «Basta Usurai – basta Stranieri». Per la Cassazione non è reato, perché si tratta di un hate speech contestualizzato a un frangente di propaganda politica, e discriminante peraltro non per etnia ma per «l’altrui criminosità».

* Fonte: Eleonora Martini, IL MANIFESTO[1]

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