Russia-Ucraina, venti di guerra
NATO extra-large . Con il dispiegamento del sistema dello Scudo antimissile in Polonia e Romania; con il controllo dei bilanci della difesa di tutti questi Paesi, che sono poi gli stessi recalcitranti verso una Unione europea democratica, sovranazionale e accogliente; e con una miriade di manovre militari. Il tutto a ridosso dei confini russi
Stavolta l’espressione «venti di guerra» non è un modo di dire ma una realtà. L’incidente di Kerch a questo potrebbe preludere: ad una condizione in Europa ben più grave della Guerra fredda. Navi da guerra ucraine in acque russe – perfino l’Ue ieri ha ammonito Kiev a «rispettare il diritto internazionale» -, cannonate e sequestro delle stesse da parte della Marina militare di Mosca, l’Ucraina che dichiara la legge marziale e attacca nel Donbass, i neonazisti del battaglione Azov che presidiano piazza Majdan. Lo spettro del precipizio è sotto i nostri occhi. Al di là della cronaca di rimpalli di responsabilità, c’è uno strumento al quale partecipano tutti i governi europei, che ha preparato questo scenario degenerato in scontro armato.
Naturalmente non è la Casa comune europea agognata da Gorbaciov dopo il crollo del Muro di Berlino nell’89; si tratta invece della strategia dell’allargamento a Est della Nato. Per la quale dal 2004 tutti i paesi dell’ex Cortina di ferro (tranne la Russia), nonostante il Patto di Varsavia si fosse sciolto nel 1995, sono entrati nel Patto atlantico a rinforzare un assedio all’ex Unione sovietica che però non esisteva più. È già accaduto che l’allargamento a est della Nato – contro il quale si sono espressi perfino ministri della difesa Usa e tanti, inascoltati, consiglieri dei presidenti americani – sia diventata guerra aperta: è stato nell’estate del 2008 quando il premier georgiano Saakashvili, incoraggiato proprio dalla Nato, attacco militarmente i territori abkhazi che in terra georgiana, insieme all’Ossetia, si erano proclamati indipendenti.
La Russia reagì subito duramente e fu un disastro per la Georgia e il suo leader che, da quel momento in poi venne praticamente cacciato dal suo stesso paese per poi riciclarsi addirittura come ministro in Ucraina, e per finire arrestato proprio dal presidente Poroshenko.
La Nato extra-large si caratterizza per la costruzione di decine e decine di basi militari ormai disseminate in tutto l’Est-Europa e nel Mar Nero, luogo dell’incidente, sulle coste romene e bulgare; con il dispiegamento del sistema dello Scudo antimissile in Polonia e Romania; con il controllo dei bilanci della difesa di tutti questi Paesi, che sono poi gli stessi recalcitranti verso una Unione europea democratica, sovranazionale e accogliente; e con una miriade di manovre militari. Il tutto a ridosso dei confini russi.
La menzogna che motiva questo allargamento è la difesa della democrazia, con riferimento esplicito alla crisi in Ucraina: ma nel Paesi Baltici, in particolare l’Estonia, vigono regimi formalmente democratici ma dove, denunciano l’Onu e il Consiglio d’Europa, sono violati i diritti umani delle minoranze, a partire da quella russa; e, mentre per le regioni ribelli del Donbass la Russia resta aperta alla trattativa sull’autonomia all’interno dell’Ucraina, sulla vicenda Crimea si addensano le narrazioni occidentali che hanno da tempo attivato sanzioni economiche contro Mosca.
Dimenticando fra l’altro come questo evidente stato d’assedio continuo da parte del Patto atlantico verso la Russia è a dir poco controproducente e aiuta sostanzialmente Putin a conservare ben saldo il potere. Inoltre quel che ha fatto la Russia con la Crimea, storicamente russa e regalata nel 1954 dal Cremlino a Kiev all’interno della compagine che era ancora l’Unione sovietica, è un misfatto molto meno grave di quello che la Nato ha realizzato in Kosovo, tradendo la pace di Kumanovo, che pose fine alla guerra «umanitaria» di 78 giorni di raid aerei, autorizzando una indipendenza unilaterale nel 2008 che ancora divide i Paesi Ue e l’Onu.
E che resta una ferita aperta intorno alla base militare americana di Camp Bondsteel. In Crimea un referendum con più del 90% di partecipanti c’è stato, a Pristina votò solo il 43% degli aventi diritto; tuttavia quella indipendenza, per uno Stato che tutti definiscono sostanzialmente «criminale» venne sponsorizzata e riconosciuta subito dagli Usa e da decisivi paesi Nato, come Germania e Francia. Quanto dovremo ancora aspettare perché si renda evidente il dramma al quale come Italia stiamo partecipando. Che aiuta il disastro in corso dell’Europa. Giacché il necessario e prezioso sovranazionalismo dell’Unione non è messo a repentaglio solo dai nefasti sovranismi nazionali alimentati dall’insorgente populismo xenofobo, che stupidamente aspetta l’avvento di un’altra Commissione dopo le elezioni europee del 2019: quando è chiaro infatti che sarà una Europa senza futuro e senza Unione e invece zeppa di sovranismi nazionali l’un contro le altre armati.
Quel che è chiaro in queste ore è che nemico del sovranazionalismo europeo è anche il sovranazionalismo militare della Nato, tutt’altro che democratico e per Statuto eterodiretto altrove, dai Comandi Usa; che insidia i processi democratici (dal territorio ridotto a servitù militari, alla ri-dislocazione di centinaia di atomiche in Europa e in Italia; ai bilanci della difesa che per Trump vanno aumentati. La crisi armata nel Mar Nero questo dice. Altro che chiacchiere sull’Ue che avrebbe mantenuto in questi anni la pace, scaricando invece guerre nel sud-est europeo, nel Caucaso e rivolte armate come in Ucraina. Proviamo ad ascoltarlo il rumore sordo del precipizio.
* Fonte: Tommaso Di Francesco, IL MANIFESTO
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