70 anni dopo. Amnesty contro il governo italiano: «Politiche razziste e repressive».

by Marina Della Croce * | 11 Dicembre 2018 8:34

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Da giorno del suo insediamento il governo Conte «si è subito distinto per una gestione repressiva del fenomeno migratorio. Le autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in Italia di centinaia di persone salvate in mare infliggendo ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del sistema di ricerca e salvataggio».

Nel giorno in cui si celebrano i 70 anni della Dichiarazione universale dei diritti umani, il giudizio che Amnesty international esprime su governo giallo verde non potrebbe essere più netto. L’organizzazione non esita infatti a bollare come «repressive» le politiche esse in atto contro i migranti sottolineando come i diritti dei richiedenti asilo siano messi in forse dal decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini. Che risponde subito alle accuse che gli rivolge Amnesty: «Ho la coscienza a posto. Il decreto sicurezza erode i diritti dei delinquenti e non dei richiedenti asilo», replica il ministro degli Interni. E con lui si schiera anche l’altro vicepremier, Luigi Di Maio: «In Francia ho visto minorenni fatti inginocchiare dalla polizia. Se queste cose le avesse fatte il governo italiano sarebbe arrivata l’Onu con i caschi blu».

Battute, che non bastano però a sminuire la gravità della accuse lanciate da Amnesty. L’occasione è la presentazione del rapporto «la situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019» nel quale si traccia un quadro preoccupante del nostro Paese per il crescente clima di diffidenza e razzismo nei confronti degli stranieri, Un clima, sottolinea l’organizzazione, alimentato anche dal linguaggio utilizzato nella perenne campagna elettorale italiana da alcuni esponenti politici per veicolare sentimenti populisti e identitari. Un modo di parlare che «incita all’odio e alla discriminazione e che sta alimentando un clima di crescente intolleranza, razzismo e xenofobia nei confronti delle minoranze e di rifugiati e migranti». E la scelta dell’Italia come di altri Paesi di non aderire al Global compact sull’immigrazione siglato ieri a Marrakech lascia «costernati», scrive Amnesty.

Particolare attenzione viene inoltre riservata alla politica degli sgomberi messi in atto da nuovo governo e che colpiscono in particolare rom e migranti senza offrire in cambio nessuna sistemazione alternativa. Una politica che per l’organizzazione rischia nel 2019 di far aumentare il numero delle persone e delle famiglie senza un tetto mentre a Roma e in altre città migliaia di rom continuano a vivere segregati in campi senza adeguate sistemazioni abitative.

Ma nel mirino  di Amnesty non ci sono solo le politiche sull’immigrazione, mentre in Italia si discrimina, prosegue la vendita di armi a paesi in guerra come Arabia saudita e Emirati arabi, attivi nel conflitto in Yemen. Queste esportazioni, denuncia Amnesty, violano la legge 185/90 e il trattato internazionale sul commercio delle armi ratificato dall’Italia nel 2014, mentre restano inascoltati gli appelli che l’organizzazione ha lanciato al nostro governo perché si adoperi per un cessate il fuoco in Yemen e per imporre un embargo sulle armi.
«L’assenza di Conte Marrakech indica che, al di là delle belle parole, la politica del governo è dettata da valori e azioni tipiche delle destre nazionaliste», è stato il commento del capogruppo dem Graziano Delrio, mentre per Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) quelle di Amnesty sono «parole pesanti sulla credibilità di un governo».

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 «Quel sogno di 70 anni fa ormai si è interrotto»

Il rapporto. Attivisti uccisi, donne e gay discriminati e Paesi in cui torna la pena di morte

Non va meglio se si parla di diritti umani. «La situazione nel mondo è bruttissima», prosegue Rufini ricordando come negli ultimi anni in alcuni Paesi sia stata ripristinata la pena di morte e intere categorie di cittadini, come migranti, minoranze etniche e donne vengono private dei loro diritti.

A guardare i quadro generale c’è da mettersi le mani nei capelli a cominciare proprio dalle persecuzioni subite dagli attivisti per i diritti umani. In Colombia, ad esempio, in media ogni tre giorni ne viene ucciso un attivista. In Egitto, nel 2018 le autorità hanno incarcerato almeno due attiviste per i diritti umani, sottoposto a divieti di viaggio almeno altre sette e disposto il congelamento dei beni nei confronti di altre due. Altre otto attiviste sono state arrestate in Arabia Saudita da maggio 2018 e si trovano ancora on carcere senza che nei loro confronti sia stata contestata un’accusa. E non va certo meglio in Iran, con 43 attiviste in prigione solo per aver difeso i diritti delle donne. Non va certo meglio per le persone Lgbt, discriminate in 71 Paesi che ancora considerano l’omosessualità un reato.

Il 2018 è stato anche l’anno con il più alto numero di giornalisti morti in Afghanistan dall’inizio del conflitto nel 2001, mentre in Yemen milioni di persone sono a rischio a causa della carestia e quasi 17.000 civili sono stati uccisi o feriti dallo scoppio della guerra. Il conflitto in Sud Sudan, con sette milioni di persone che necessitano disperatamente di aiuti umanitari e protezione, rimane invece una delle crisi più ignorate nel mondo.

* Fonte: Marina Della Croce, IL MANIFESTO[1]

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