I diritti globali al tempo degli algoritmi e del rancore

I diritti globali al tempo degli algoritmi e del rancore

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Il 2018 si sta chiudendo con un bilancio preoccupante sul versante dei diritti globali. In Europa e nel mondo le destre avanzano. Avanzano i populismi, tornano a circolare diffusamente, e ormai ad avere piena dignità in pubblico, idee e pensieri razzisti, xenofobi, suprematisti. Le diseguaglianze continuano a crescere e se nel mondo il lavoro aumenta, si tratta per lo più di lavoro povero di guadagni e diritti. Anche nei Paesi a capitalismo maturo dove è sempre più precario, frammentato, instabile. Le forze democratiche, liberali e laburiste sembrano guardarsi attorno attonite, incapaci di elaborare un’alternativa, immobili a domandarsi se c’è ancora un futuro per la Sinistra, per i diritti civili e sociali, per un modello economico e politico che dia risposte al disagio e al rancore nei confronti delle élite che hanno governato sino a oggi.

Innovazione tecnologica, diseguaglianze e lavoro low cost

Innovazione e tecnologie non distribuiscono simmetricamente i loro effetti. Senza alcun dubbio stanno contribuendo a ridurre le diseguaglianze economiche tra i Paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati. Una valutazione che non va trascurata perché rispetto a venti o trent’anni fa, oggi sono milioni in più le persone che hanno acqua corrente, cibo, istruzione, cure mediche, un lavoro. Ogni giorno però dati e statistiche ci confermano che le diseguaglianze interne sono invece in aumento. La ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di pochi ricchi che ogni giorno diventano sempre più ricchi. Negli scorsi anni la globalizzazione senza regole ha consentito alle grandi imprese di produrre nei Paesi in via di sviluppo impiegando lavoratori con pochi diritti, basse retribuzioni e scarso, se non nullo, potere contrattuale, guadagnando così enormi fortune, spesso riuscendo anche ad aggirare le politiche fiscali che sono alla base della redistribuzione. Il modello economico basato sul low cost ha accentuato la dimensione consumistica della nostra società ma nei Paesi che avevano conquistato sistemi di protezione per i lavoratori, ha anche spianato la strada a normative che hanno ridimensionato diritti, salari e certezze. Il prezzo più alto lo stanno ancora pagando le donne che continuano a subire un sistema discriminante declinato su ogni latitudine e fattore – retribuzioni, carriere, diritti –, e i giovani che nelle economie in difficoltà sono l’anello debole delle società. Dinamiche che vengono ora amplificate dalla net economy e dalla digitalizzazione.

Il potere degli algoritmi

Più della robotizzazione, che nel nostro immaginario ci vede presto tutti sostituiti da macchine intelligenti, più ubbidienti e forti di noi – e che meriterebbe un ragionamento più complesso –, oggi sono gli algoritmi il vero buco nero dei diritti del lavoro. Le piattaforme digitali stanno creando un mercato del lavoro individualizzato, dequalificato, difficile da organizzare per contrattare diritti e persino da categorizzare e far rientrare sotto un preciso CCNL. I sindacati stanno reagendo studiando e sperimentando nuove strade e soluzioni per dare forza e rappresentanza ai lavoratori nell’inerzia della politica. Le piattaforme delle Gig economy che ogni giorno conquistano fette di mercato, crescono e si sviluppano negli spazi di normative nate prima del loro avvento e nell’incapacità di una reazione da parte di politica e istituzioni rapida quanto la penetrazione di questi sistemi nel tessuto economico. La politica attende incapace di dare risposte a problemi che stanno destrutturando il mondo del lavoro per come lo abbiamo da sempre conosciuto. Le conseguenze sono generazioni di giovani con competenze e saperi maggiori dei loro genitori, che non riescono però a trovare, in una società immobile, un lavoro dignitoso, stabile, una prospettiva di futuro.

Tutto questo genera rabbia e rancore. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, forse mai come oggi, a parità di formazione, la famiglia di provenienza gioca un ruolo fondamentale nella costruzione del futuro di una persona. Viviamo in un mondo bloccato. Le statistiche fredde e lucide dicono che se sei figlio di ricchi sarai ricco e di successo, se sei figlio di lavoratori, potrai studiare, specializzarti, diventare bravo ma per ottenere un riconoscimento al tuo valore, o anche solo un lavoro dignitoso, dovrai andare altrove. Il risultato è una sostanziale sfiducia nella formazione e nell’impegno, nelle istituzioni e in chi avrebbe dovuto porre limiti e contrappesi per bilanciare le diseguaglianze che invece sono aumentate. Si registra una generalizzata sfiducia nelle élite che hanno lasciato che tutto questo accadesse. Eppure, sono le statistiche a dirlo, nel mondo dove i sindacati sono più deboli, i salari e i diritti dei lavoratori sono più deboli. Non dovremmo scordarlo mai.

I megafoni della paura e dei discorsi d’odio

Le élite hanno fallito? Ha fallito l’Europa con le sue ricette per arginare la crisi che hanno finito per bloccare investimenti e sviluppo? Ha fallito la Sinistra che, dopo le conquiste degli anni Settanta, in questo inizio di secolo si è fatta interprete di un modello politico lontano dai bisogni concreti del proprio elettorato tradizionale, quello del lavoro innanzitutto? I progressisti non hanno compreso la paura, il disincanto, la rabbia per l’arretramento economico dei ceti medi, non hanno visto quanto bloccato fosse l’ascensore sociale, non si sono occupati dell’impatto che i migranti avrebbero avuto su un tessuto sociale già spaventato mentre le privatizzazioni e i tagli al welfare, come agli investimenti in sicurezza e infrastrutture, producevano effetti concreti sulla vita delle persone? Tutte tematiche che, invece, le destre hanno colto e usato per la loro propaganda, per dare voce e forza alla paura e al risentimento. Paura e rabbia alimentati anche da un uso spregiudicato delle scoperte della neuropsicologia e degli effetti che social media possono creare con la diffusione di fake news e di hate speech.

I nuovi populisti e i nuovi fascisti avanzano. Usano parole gravi, evocano odio razziale, suprematismo e sovranismo, ideologie che sembrano rassicurare chi è armato di paure e preoccupazioni. La propaganda della destra, l’egemonia culturale che tenta di conquistare opera una pericolosa inversione nei diritti umani e sociali e nelle libertà. Si smontano le politiche redistributive e si abbassano le tasse per i ricchi. Si attacca la stampa tradizionale e si tenta di imbavagliarla. Si torna a discriminare e ad aggredire le persone omosessuali, si emarginano e si indicano come responsabili del disagio i migranti, i diversi. Si attaccano i diritti di libertà delle donne che – non mi stancherò mai di ripetere – sono il primo metro della democrazia in un Paese. Semi per un mondo fatto di contrapposizioni e scontri. I figli dei migranti che lasciamo fuori dalle nostre mense scolastiche e ai quali non riconosciamo il diritto di cittadinanza, sono i nostri cittadini di domani e proprio come tutti gli altri giovani ai quali non abbiamo saputo dare risposte, domani saranno pieni di rabbia e rancore.

Ripartire dalle contraddizioni e conflitti del lavoro

Il vento che sta soffiando non ci piace. I progressisti, la sinistra in quasi tutto il mondo è attonita, impreparata ad affrontare una destra aggressiva e illiberale, violenta nelle forme e nei contenuti, che rischia di trascinare tutti noi in un vortice di paura e odio che nega la democrazia. Il percorso per una sua rinascita incrocia necessariamente il Lavoro, il riconoscere la sua valenza progressiva e trasformativa, le sue contraddizioni e i suoi conflitti.

Ma passa indiscutibilmente e obbligatoriamente anche dallo studio e dall’indagine dei fenomeni. Per questo la CGIL tiene in grande considerazione il Rapporto sui diritti globali: uno strumento indispensabile per conoscere i dati, per leggere più approfonditamente cosa accade intorno a noi, comprendere e cercare insieme soluzioni. Perché se paura, risentimento e odio sociale sono il brodo di coltura dei nuovi leader di destra e il piccone con cui si stanno aggredendo le democrazie, la risposta che dobbiamo dare è una nuova e forte politica di contrasto alle diseguaglianze, di inclusione e di tutela del lavoro e dei lavoratori. Ripartiamo da qui.

* Segretario Generale CGIL

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