La cancellazione dell’informazione come bene pubblico, oggi la protesta

La cancellazione dell’informazione come bene pubblico, oggi la protesta

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La volontà di Lega e Cinque Stelle di cancellare i contributi pubblici all’editoria per i media di idee, locali, delle minoranze linguistiche è un ritorno all’Ottocento. Nell’Inghilterra vittoriana il cancelliere dello scacchiere, il liberale George Lewis, vide nel libero mercato lo strumento di controllo delle opinioni non allineate a quelle del governo. Rispetto a Di Maio, Salvini, Lewis era più onesto. Il mercato non faceva gli interessi dei lettori, come invece pretendono i «populisti» che identificano il popolo con il mercato, ma le «preferenze degli inserzionisti pubblicitari».

Fu questo il modo in cui quel governo usò il mercato per tutt’altra finalità, ovviamente non dichiarata, ma sostanziale: indebolire, o cancellare, la stampa della classe lavoratrice e, in generale, quella critica con il capitalismo e il liberalismo autoritario dell’epoca. In forma indiretta, gli oligopolisti del settore, e gli inserzionisti che decidono il successo di una pubblicazione, acquisirono anche il potere di decidere chi avrebbe potuto fare un giornale e cosa avrebbe dovuto pubblicare. In un’epoca diversa, ma con la stessa virulenza ideologica, oggi si vogliono colpire le voci anti-razziste e anti-capitaliste, di diverso orientamento culturale.

Nel secondo dopoguerra, in Europa e negli Stati Uniti, nacque una nuova sensibilità: era interesse generale tutelare l’informazione, e la produzione culturale indipendente, come un bene pubblico «non rivale» e non esclusivo. Questo significa che una persona che guarda un programma, legge una storia o un articolo non impedisce ad altri di farlo perché, una volta di dominio pubblico, i contenuti sono accessibili da tutti. Questo orientamento, consolidato nelle legislazioni già a partire dall’inizio degli anni Settanta, è stato adottato perché tali benefici non possono essere misurati solo alla luce nei prezzi della produzione di un giornale, una radio o una Tv. Se attraverso la lettura, la visione di un video, l’ascolto di una trasmissione radiofonica, il cittadino conquista una consapevolezza critica dell’attualità, e ha maggiori probabilità di impegnarsi, allora è interesse pubblico sostenere il pluralismo dell’informazione.

Questi principi sono stati adottati per riequilibrare un mercato, storicamente caratterizzato da editori «non puri», come quello italiano soggetto a concentrazioni oligopolistiche oggi ancor più inedite, e una stampa privata meno diffusa, ma comunque radicata sui territori e storicamente espressione di orientamenti politici riconosciuti.

Nell’ultimo cinquantennio l’esigenza di tutelare il pluralismo, e riequilibrare il mercato, ha portato la Francia, Paesi Bassi, Svezia, Portogallo, la Germania ad adottare legislazioni garantiste. La Francia e l’Italia hanno un modello misto: i media ricevono importi inferiori ai canoni e agli stanziamenti pubblici, che sono combinati con i proventi della pubblicità e di altre attività commerciali. Il sostegno si è articolato in maniera indiretta e diretta. Dopo varie riforme, che hanno ristretto l’accesso ai fondi a causa di violazioni della normativa riscontrate in 13 casi (fu il caso dell’Avanti, ad esempio) nel nostro paese non ci sono più forti aiuti indiretti, mentre quelli diretti sono stati limitati a 48 testate per circa 60 milioni di euro all’anno.

Se si confrontano oggi i dati ufficiali sul finanziamento pubblico all’editoria, risulta che l’Italia, rispetto a Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, è penultima come stanziamento pubblico complessivo , già drasticamente ridotto, e ultima come spesa pro capite (43 euro). Proprio quello che la rappresaglia di Lega e Cinque Stelle vuole cancellare, senza aspettare l’entrata in vigore nel 2019 della «riforma Lotti» che ha modificato profondamente il settore solo nel 2017.

Tutto, teoricamente, dovrebbe tornare ostaggio del mercato. Gli oligopoli ringraziano per il favore atteso in campagna elettorale e, ora, vicino a diventare realtà.

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La protesta contro i tagli all’editoria: «Una ritorsione del governo»

Legge di bilancio. Oggi alle 10 la protesta del sindacato dei giornalisti (Fnsi) a piazza Montecitorio. L’emendamento Patuanelli (M5S) mette a rischio mille posti di lavoro diretti, 10 mila negli indotti. Una rappresaglia contro la stampa che conduce battaglie politiche a cominciare dall’antirazzismo

Oggi alle 10 a piazza Montecitorio il consiglio nazionale della Federazione nazionale della Stampa (Fnsi) ha convocato un «presidio simbolico» di protesta contro i tagli al fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione che colpirà le cooperative, i quotidiani di idee e le testate locali.

A POCHE ORE dalla definizione di una legge di bilancio che formalmente si vuole «del popolo», mentre in realtà è scritta insieme ai custodi dell’austerità a Bruxelles, l’emendamento Patuanelli (capogruppo al Senato dei Cinque Stelle) sarà contestato a poca distanza dal palazzo dove lavora il sottosegretario con delega all’Editoria, Vito Crimi (M5S). Da due mesi è forte il dissenso per quella che il sindacato e l’ordine dei giornalisti hanno definito «un avvertimento a chi crede di poter portare avanti battaglie ideali e culturali, anche in contrapposizione al governo, d’ora in avanti avrà vita dura. È un colpo mortale al pluralismo dell’informazione, alla funzione critica della stampa, al ruolo dei corpi intermedi». Se fosse approvato al Senato nella forma «rimodulata» rispetto a quello presentato dal deputato Varrica alla Camera, l’emendamento ridurrebbe in maniera progressiva i contributi diretti del finanziamento pubblico a partire dal 2019 per arrivare all’azzeramento nel 2022 per le imprese editrici di quotidiani e periodici che hanno accesso in base al decreto legislativo 15 maggio 2017, numero 70.

SARANNO COSÌ colpite le cooperative giornalistiche come Il Manifesto che editano quotidiani e periodici; fondazioni o enti senza fini di lucro che editano quotidiani come Avvenire e periodici espressione di minoranze linguistiche; per non vedenti e ipovedenti; associazioni dei consumatori e degli utenti che editano periodici in materia di tutela del consumatore; imprese editrici di quotidiani e di periodici italiani editi e diffusi all’estero. Tra i quotidiani nazionali coinvolti ci sono anche Libero, Italia Oggi, il Foglio. Tra quelli locali ci sono il Roma-Giornale di Napoli, il Corriere di Romagna, la Voce di Rovigo, Cronache Qui Torino, Latina Oggi, Ciociaria Oggi, Il Quotidiano del Sud. Coinvolta anche Radio Radicale che perderà una parte cospicua per la sua attività di informazione pubblica sulle attività parlamentari. Contro il taglio è intervenuto sette volte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, due la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati. Vito Crimi ha sottolineato che è nel «Dna del movimento Cinque Stelle l’abolizione dell’ordine dei giornalisti e il taglio del finanziamento ai giornali. Quindi abbiamo un mandato forte e netto». A In Mezz’ora di Lucia Annunziata , il Presidente della Camera Roberto Fico (M5S) ha confuso le acque, richiamando una realtà che non esiste più. «I contributi pubblici hanno anche generato dei veri e propri mostri» ha detto. Quell’epoca è finita da tempo. Ora si vanno a colpire mille lavoratori diretti, 10mila negli indotti.

LA LETTURA dell’emendamento, in particolare del quinto comma, rivela una realtà diversa da quella descritta da Crimi secondo il quale i risparmi «rimangono. Vogliamo garantire un sostegno a tutti, non solo ad alcuni editori». È vero, ma i finanziamenti saranno gestiti attraverso i decreti dalla Presidenza del Consiglio che acquisirà una funzione politica discrezionale. Oggi, invece, ha solo un ruolo esclusivamente amministrativo deciso da una legge del parlamento. Una volta approvata la legge di bilancio, la stampa indipendente sarà alle dipendenze dirette del governo di turno. Tutto il contrario di quanto la propaganda di regime sostiene in queste ore. Come sempre sarà la politica, e non il presunto «mercato», e tantomeno i «cittadini», a decidere come e in quale misura la libertà dovrà esprimersi. Come in altri paesi europei, anche nel nostro si sta provando a soffocare il dissenso, anche con l’arma del ricatto economico.

LE OPPOSIZIONI (Pd, Forza Italia, Fratelli d’Italia, LeU) denunciano il rischio della chiusura di numerosi giornali e la perdita di posti di lavoro. «I 5Stelle ci pensino bene prima di commettere un atto irreparabile» sostiene Debora Serracchiani, parlamentare del Pd eletta in Friuli Venezia Giulia, dove vive la minoranza linguistica slovena autoctona.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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