La foresta bruciata di Alessandria. Azione di Greenpeace contro l’olio di palma

by Giansandro Merli * | 5 Dicembre 2018 8:50

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Capriata d’Orba (Alessandria). Tronchi tagliati, rami bruciati, cenere, fumo, un orango. Non siamo nella foresta pluviale indonesiana, ma in una sua riproduzione, realizzata dagli attivisti di Greenpeace a Capriata d’Orba, provincia di Alessandria. Si trova qui lo stabilimento Saiwa, di proprietà della multinazionale Mondelez nata da una scissione del colosso alimentare Kraft, che produce Cipster e Ritz.

Due climber hanno srotolato un grande striscione giallo: «Basta olio di palma che distrugge le foreste». In basso attivisti in tuta verde mostrano delle scritte: «Sapore di foresta bruciata», «Sapore di orango in estinzione».

UNA DECINA DI LORO sono incantenati all’ingresso. I camion rimangono fuori. Tra questi c’è una cisterna con la scritta «Per alimenti» e diversi adesivi «Keep calm and eat palm». L’Ong ambientalista chiede a Mondelez di «pulire» le sue filiere di rifornimento di olio di palma e rescindere i contratti con Wilmar, il più grande trader globale. «Nel 2010 Mondelez si era impegnata a non acquistare più olio di palma legato alla distruzione delle foreste e alla violazione dei diritti umani entro il 2020 – recita il volantino – Invece continua a farlo da 22 fornitori responsabili di aver distrutto tra il 2015 e il 2017 oltre 70mila ettari di foresta pluviale». La superficie corrisponde all’intera città di Chicago, dove la multinazionale ha la sede centrale.

L’azienda, che il manifesto ha provato a contattare, ha risposto ai manifestanti intorno alle 12 con un testo stampato e consegnato a mano, ribadendo un generico impegno «a eliminare la deforestazione nella fornitura di olio».

«TROPPO POCO – ha risposto Martina Borghi, responsabile della campagna foreste di Greenpeace Italia – Anche perché menzionano passi in avanti che noi smentiamo». La protesta è andata avanti fino alle 15 e poi si è sciolta pacificamente.

L’olio di palma viene utilizzato in molti settori, dalla cosmetica ai biocarburanti e all’alimentare. In questo campo ha ricevuto numerose critiche per i suoi effetti sulla salute umana. In Italia, è obbligatorio indicarne la presenza negli alimenti dal 13 dicembre 2014. L’olio è composto per il 50% da grassi insaturi e si trova nella maggior parte dei cibi prodotti a livello industriale. È ovunque e se ne consuma tantissimo.

L’ALBERO DELLA PALMA da olio è originario della Nigeria. Alla fine del diciannovesimo secolo fu introdotto nel sud-est asiatico. Oggi circa l’85% del mercato globale viene rifornito dalle piantagioni di Indonesia e Malesia, che hanno rapidamente sostituito enormi distese di foreste incontaminate.

Il report «Final Countdown» pubblicato a settembre 2018 da Greenpeace dimostra che negli ultimi 3 anni 25 produttori di olio di palma hanno cancellato almeno 130mila ettari di foreste e torbiere, rari ambienti acquitrinosi con importanti funzioni ambientali.

Queste distruzioni stanno mettendo in pericolo la sopravvivenza di oranghi, tigri, elefanti e altre specie in via di estinzione.


PER FAR POSTO
 alle piantagioni le foreste vengono incendiate e le torbiere drenate e poi date alle fiamme. Gli abitanti dell’Indonesia hanno ribattezzato il periodo degli incendi, da giugno a ottobre, «musim kabut», la stagione fumosa.La «piccola» Indonesia è diventata il terzo paese al mondo per emissioni di anidride carbonica, dietro a Stati uniti e Cina. Anche perché molti dei terreni incendiati sono ricchi di carbonio stoccato.

Nel sud-est asiatico decine di migliaia di persone perdono la vita ogni anno a causa di fuochi e fumi. Ma i danni ambientali, ovviamente, non rimangono all’interno delle frontiere degli stati.

Lunedì scorso il presidente dell’istituto superiore di sanità Walter Ricciardi ha detto: «Abbiamo 20 anni per salvare il pianeta. L’organizzazione mondiale della sanità parla di 7 milioni di morti legate ai cambiamenti climatici. In Italia il 12% dei ricoveri pediatrici in ospedale sono connessi all’inquinamento».

A OTTOBRE il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni unite (Ipcc) ha pubblicato un preoccupante studio sul surriscaldamento globale.

Gli scienziati sostengono che un aumento delle temperature del pianeta oltre il grado e mezzo rispetto all’era preindustriale causerebbe enormi disastri mettendo a rischio la vita umana. Fermare il surriscaldamento a 1,5 gradi è l’obiettivo più ambizioso, e lontanissimo, degli accordi di Parigi. In questi giorni a Katowice, in Polonia, si sta svolgendo il meeting Cop24 proprio per capire come implementare concretamente gli obiettivi tracciati nel 2015 in Francia. Di sicuro, per fermare la riduzione della biodiversità, il surriscaldamento globale e le emissioni di Co2 è sempre più urgente mettere fine alle deforestazioni su larga scala.

NON SARÀ SEMPLICE ai tempi dell’internazionale populista, che ha già promesso guerra all’ambiente in nome degli interessi estrattivi.

Donald Trump, a capo del paese storicamente più inquinante, professa un noto scetticismo climatico. In risposta agli incendi in California ha espresso la volontà di tagliare alberi. Jair Bolsonaro, che guida lo stato con l’area amazzonica più estesa, ha promesso migliaia di ettari di foresta alle imprese agricole. Il suo ministro degli esteri, Ernesto Araújo, ha definito il cambiamento climatico «un complotto marxista».

Sullo sfondo, però, si agitano anche nuovi movimenti ecologisti, con la parziale eccezione francese. Due settimane fa a Londra più di 6mila attivisti di Extinction Rebellion hanno occupato i principali ponti della città rivendicando leggi contro le emissioni di Co2. Nei giorni scorsi gli studenti australiani hanno bloccato decine di scuole superiori protestando massivamente per chiedere al governo azioni immediate.

Domenica, a 24 ore dall’inizio di Cop24, oltre 70mila persone hanno sfilato a Bruxelles gridando che non esiste un «Planet B». Solo pochi giorni prima il segretario dell’Onu António Guterres aveva dichiarato: «La storia si sta muovendo in una direzione che rende la lotta al cambiamento climatico assolutamente centrale».

* Fonte: Giansandro Merli, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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