Putin sul ritiro USA dal Trattato Inf: «Il mondo ora rischia una guerra nucleare»

by Yurii Colombo * | 21 Dicembre 2018 10:25

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MOSCA. «Il mondo sta sottovalutando il pericolo di una guerra nucleare. Ma se la guerra, dio non voglia ci sarà, potrebbe condurre alla fine della civiltà umana»: con questo ammonimento a tutte le cancellerie è iniziata ieri a Mosca la tradizionale conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin. Il presidente russo sulla questione della corsa agli armamenti, rivolgendosi a Trump, ha voluto essere chiaro fino quasi alla brutalità. «Dopo il ritiro degli Usa dal Trattato anti-balistico, che come ho già detto molte volte, è stato comunque un cardine nel campo della non proliferazione delle armi nucleari la Russia – ha sottolineato Putin – ha progettato, armi “segrete” non ancora disponibili ai suoi avversari…. Si dice che la Russia si sarebbe avvantaggiata. È vero, abbiamo solo noi alcune armi… ma sono mirate solo a mantenere la parità strategica», ha ribadito il capo del Cremlino, esprimendo al contempo il timore che nuovi missili possano essere puntati a breve contro la Russia in Europa centrale. E ha concluso questo capitolo chiedendosi retoricamente: «È la Russia con i suoi 46 miliardi di dollari per la difesa a minacciare la pace o gli Stati uniti con con i suoi 750?»

ANCHE LE NUOVE sanzioni americane decise la scorsa notte a Washington avrebbero come obiettivo per il capo del Cremlino, non scoprire chi ha avvelenato Skripal «ma strangolare il nostro paese». Solo un cenno a muso duro sull’Ucraina: «Sappiano tutti che non libereremo i marinai ucraini arrestati sullo stretto di Kerch. Prima devono essere processati». Putin ha anche respinto le accuse alla Russia di essere un «paese autoritario». Si è chiesto invece se per i paesi occidentali non sia tempo di una riflessione sui loro deficit di democrazia: «Come è possibile che Trump vinca le elezioni e poi non possa governare? O che gli inglesi votino la Brexit e poi non possano implementarla?».

A PROPOSITO dell’annunciato ritiro dalla Siria di Trump, Putin è stato guardingo. «Vedremo – ha detto – come e se ci sarà. Noi comunque resteremo in Siria, perché se è vero ciò che ha detto Trump sulla sconfitta dell’Isis, ci sono altri pericoli che aleggiano nella regione». Una posizione che ha sempre lasciato fredda l’opinione pubblica russa tradizionalmente isolazionista, ma ora Putin vorrebbe riscuotere i dividendi della decisione di impegnarsi in Medio Oriente. La diffidente ma stabile alleanza con Ankara, le ottime relazioni con Teheran e la penetrazione commerciale in Egitto e in Africa centrale, sono tasselli di una strategia a cui non intende rinunciare. E a proposito dell’anello debole afghano ha informato: «Rafforzeremo le nostre basi militari in Tajikistan perché prossimamente la situazione a Kabul potrebbe bruscamente cambiare».

PASSANDO allo stato interno del paese, il presidente ha ricordato che quest’anno il Pil è cresciuto del 1,7% e il prossimo anno dovrebbe raggiungere il 2%. Siamo però lontani dalle promesse elettorali di una crescita del 3,8% e di un allargamento del welfare che Putin vorrebbe raggiungere con un non ben definito «balzo tecnologico in avanti».

IL CREMLINO in questi mesi ha dovuto fare i conti con un diffuso malumore legato all’innalzamento dell’età pensionabile, all’aumento di 2 punti dell’imposta sul valore aggiunto e all’impennata dei prezzi della benzina. Su quest’ultimo punto Putin ha cercato di scacciare lo spettro dell’emergere anche in Russia dei «gilet gialli». «Non farò crescere il prezzo dei carburanti per tutto il prossimo anno» ha promesso.
Per concludere è tornato al passato sovietico. Giudicando «positivamente i mutamenti introdotti dalla Cina» dai tempi di Deng Xiaoping ha affermato di aver presente i sondaggi che parlano di un 66% di russi nostalgici del’Urss. «Ritengo impossibile un ritorno al socialismo» ha sostenuto Putin al fine di tranquillizzare investitori stranieri e magnati autoctoni. Ma si è detto certo che in Russia «c’è una gran fame di eguaglianza».

«ELEMENTI di socializzazione dell’economia sono possibili, ma solo se associati a un boom dell’economia. Vogliamo fornire alla stragrande maggioranza delle persone servizi sanitari e un’istruzione dignitosa. Se parliamo di socializzazione in questo senso, io sono d’accordo» ha concluso.

* Fonte: Yurii Colombo, IL MANIFESTO[1]

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