I 5 Stelle salvano Salvini, la giunta per le immunità chiude il caso Diciotti

by Andrea Colombo * | 20 Febbraio 2019 9:16

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«Ci vorranno due ore», aveva previsto il presidente della Giunta per le immunità del Senato, Maurizio Gasparri. Ha sbagliato di poco, la riunione è durata qualcosina in più ma non ci sono stati altri imprevisti. Il sequestro di persona, di 177 persone in questo caso, non è punibile e neppure giudicabile. E’ stato fatto, a insindacabile giudizio della maggioranza parlamentare allargata a Fi e FdI, in nome di un preminente interesse pubblico. «E’ stato creato un precedente pericoloso», commenta uno dei pochi che in giunta si è opposto all’assoluzione per direttissima, l’ex presidente del Senato Piero Grasso.

LA PROPOSTA del presidente-relatore Gasparri passa con 16 voti contro 6. Manca all’appello una senatrice pentastellata, Grazia D’Angelo, non per dissenso ma perché ha partorito nella notte. Compensa Gasparri che vota per la sua stessa relazione. La bocciano i 4 senatori del Pd in giunta, più Grasso per LeU e l’ex 5S De Falco. Tra un mese la parola passerà all’aula e lì qualche dissenso nelle file dei 5S ci sarà ma probabilmente meno del previsto.

Una cosa è opporsi a una scelta del leader politico, tutt’altra violare la decisione sacra del blog. Del resto le sindache Raggi e Appendino, che si erano schierate per l’autorizzazione a procedere con un’intervista sparata in prima pagina dal Fatto, si sono affrettate a uniformarsi, rampognate di brutta da un Di Maio che ha colto l’occasione per parlare a sindache perché Travaglio intendesse: «Si sono fatte strumentalizzare».

È DA COPIONE ANCHE la protesta del Pd all’uscita dall’aula: rumorosa, con tanto di cartelli «Vergogna» e lo slogan «Onestà» rivolto stavolta contro i detentori abituali del marchio. Al capogruppo Giarrusso questo mondo alla rovescia non va giù. Alza le mani nel segno osceno delle manette e strilla: «Non prendo lezioni da chi ha parenti agli arresti». Un signore. Ma dietro il gesto greve si nascondono preoccupazioni concrete. Tra i 5S c’è un disagio profondissimo, al quale ha dato voce ieri, con un anatema di inaudita durezza, Marco Travaglio. Giarrusso quindi ci tiene a confermare di essere rimasto il manettaro di sempre. «Non abbiamo salvato Salvini ma garantito che l’azione di governo possa continuare nell’interesse dei cittadini». Solo una parentesi, necessaria per salvare il governo.

PERÒ NON È VERO. Il giustizialismo, in effetti, riprenderà senza dubbio le redini e i giulivi saluti con le mani a manetta si sprecheranno. La rottura però c’è ed è persino più profonda: per la prima volta i 5S hanno anteposto la ragione politica, il tipo di calcolo abituale per chi fa politica, ai princìpi della fede. Da quel punto di vista il voto di ieri non è un’eccezione ma un segnale di svolta auspicata, se non ancora realizzata. Tanto più che si accompagna a passaggi altrettanto importanti che vanno nella stessa direzione: la fine del vincolo sul doppio mandato e l’ipotesi di darsi una vera direzione politica, una segreteria. I leader dei 5S, Di Maio ma anche Casaleggio, hanno capito di non poter essere insieme «di lotta e di governo», perché probabilmente proprio quello è il letto di Procuste a cui alludeva Grillo nel suo sibillino post su Fb, e hanno scelto di provare a essere partito di governo più che movimento di lotta.

È UN PASSAGGIO DIFFICILE e incerto, perché una componente forte del movimento, quella che si è espressa per l’autorizzazione sul blog, non ne vuole sentire parlare. Ma la posta in gioco è più questa che non il presunto «scambio» di favori con la Lega, anche se il clima rasserenato ha aiutato nel vertice di ieri pomeriggio a sbloccare la situazione sugli emendamenti al Reddito.

«AL GOVERNO C’È una squadra. Ringrazio per la fiducia la squadra», ha commentato la lieta novella il diretto interessato, Salvini. Non è una formula di rito. Poco prima Borghi aveva annunciato che sono in corso lavori per portare i 5S in un gruppo comune «eurocritico» a Strasburgo, dopo le europee. A quel punto, con un M5S «normalizzato» e la presenza dei due partiti nello stesso eurogruppo non si tratterebbe più di contratto tra soggetti solo momentaneamente compatibili. Si tratterebbe di una coalizione politica a tutti gli effetti. Una «superLega», come la definiscono, spauriti, i 5S dissidenti.

* Fonte: Andrea Colombo, IL MANIFESTO[1]

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