La resistenza delle donne in Afghanistan. Intervista a Malalai Joya

by Orsola Casagrande | 21 Febbraio 2019 8:36

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In quest’intervista, Malalai Joya difende con passione la lotta sua e delle donne nell’Afghanistan martoriato da 17 anni di guerra. L’occupazione straniera, dice, ha solo aumentato i nostri problemi. Oggi i terroristi sono più forti. Le bombe, gli attentati suicidi, gli attacchi di droni, le esecuzioni pubbliche, gli stupri di massa, i rapimenti e altre tragedie minacciano quotidianamente la vita del popolo afghano. Le donne afghane continuano a essere vittime dei fondamentalisti e dell’ignoranza, come prima dell’intervento occidentale. Devono perciò organizzarsi e liberarsi, devono lottare in prima persona per la propria libertà e diritti, proprio come fanno le donne kurde. «Non c’è democrazia, libertà e progresso se le donne non prendono coscienza e cominciano a lottare per i loro diritti politicamente», esorta Malalai.

 

Redazione Diritti Globali: Iniziamo da una fotografia dell’Afghanistan in quest’anno…

Malalai Joya: Dopo la tragedia dell’11 settembre 2001 gli USA e la NATO hanno occupato il nostro Paese con la scusa di portare la “democrazia”, i “diritti delle donne”, i “diritti umani” ma hanno rimpiazzato il regime barbaro dei talebani con signori della guerra fondamentalisti che sono fratelli di sangue dei talebani e hanno combattuto una guerra civile dal 1992 al 1996 distruggendo Kabul, riducendola in cenere e ammazzando oltre 70 mila civili. Il governo era anche composto da tecnocrati formati in Occidente che in cambio di dollari e potere, hanno fatto compromessi con questi signori della guerra di mentalità medievale.

Dopo decenni di “guerra al terrore” da parte di USA e NATO, e dopo una spesa di oltre 100 miliardi di dollari, tristemente, il nostro Paese continua a essere in cima agli indici di guerra, povertà, disoccupazione, produzione e consumo di droga, corruzione, analfabetismo, mortalità infantile, infelicità. L’occupazione straniera ha solo aumentato i nostri problemi, in realtà. Oggi le bombe, gli attentati suicidi, gli attacchi di droni, le esecuzioni pubbliche, gli stupri e gli stupri di massa, i rapimenti e altre tragedie minacciano la vita della nostra gente ogni secondo. La gente non si sente sicura da nessuna parte, dentro o fuori casa e i terroristi oggi sono più forti.

 

RDG: In questo quadro, c’è un’opposizione ai “signori della guerra” che, come sottolinei, hanno un potere enorme?

MJ: Per decenni le forze e gli individui progressisti in Afghanistan hanno lottato e resistito a fondamentalismo e occupazione straniera. Queste figure e movimenti sono la speranza del futuro dell’Afghanistan poiché hanno sempre alzato la voce per la giustizia e la pace, contro i criminali e i traditori, nonostante i rischi crescenti di detenzione, tortura e morte. Nonostante siano sotto minaccia e deboli in questo momento, i loro obiettivi e le loro parole d’ordine sono quelle degli afghani. Un partito progressista chiamato Partito della Solidarietà dell’Afghanistan è gestito da bravi giovani. È un partito secolare, fortemente appoggiato dalla gente. L’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, RAWA) è un’organizzazione di donne molto attiva e combattiva. La loro leader, Meena Keshwar Kamal, è stata assassinata dai fondamentalisti nel 1987.

Il mio messaggio alla gente nel mondo che ama la giustizia è sempre stato quello di sostenere queste donne perché io credo che siano l’unica alternativa per un futuro prospero e pacifico in Afghanistan.

 

RDG: E i talebani e le altre formazioni fondamentaliste? Diresti che la natura dei gruppi politico-religiosi è cambiata rispetto a prima del 2001? Se sì, come? Chi controlla questi gruppi?

MJ: La natura dei talebani e dei signori della guerra è la stessa, hanno davvero molte cose in comune. Entrambi sono misogini, estremisti e la religione è uno strumento nelle loro mani da unire alla politica e da usare contro la nostra gente, soprattutto contro le donne. Il padrino di entrambi questi gruppi è il governo degli Stati Uniti e le potenze regionali che li hanno creati, nutriti e hanno conferito potere a questi criminali fin dalla Guerra Fredda, imponendoli al popolo afghano. Gli Stati Uniti e la NATO non sono credibili quando parlano di sconfiggere questi terroristi, perché hanno invece bisogno di loro per giustificare la loro occupazione a lungo termine e per sconfiggere ogni gruppo e voce indipendente e progressista.

Oggi la nostra nazione vive in condizioni disastrose e subisce il terrore di fondamentalismi di tipo diverso, l’occupazione degli USA e della NATO e l’ingerenza di Paesi come il Pakistan, l’Iran, la Russia e altri. Tutti questi Paesi hanno dei gruppi talebani tra le mani e giocano il doloroso gioco di mettere un gruppo contro l’altro per soddisfare i loro interessi regionali, politici ed economici. Un giorno gli USA dividono i terroristi talebani in gruppi di moderati e duri e il giorno dopo offrono immunità totale agli assassini talebani dietro la facciata di un cosiddetto “processo di pace”. Ora l’ISIS è una nuova grande minaccia per gli afghani, ma è un altro gruppo sostenuto da USA e NATO.

 

RDG: Per le donne in Afghanistan la situazione è dunque peggiorata…

MJ: Dopo sedici anni di cosiddetta “liberazione delle donne afghane” da parte degli Stati Uniti e della NATO, tristemente le donne afghane sono ancora le prime vittime di questa disastrosa situazione. La condizione delle donne in Afghanistan è catastrofica, tanto quanto lo era durante l’ignorante e misogino regime dei talebani. Avrete sentito parlare dell’omicidio scioccante della ventisettenne Farkhunda Malikzada, selvaggiamente picchiata a morte da un gruppo di gangsters ignoranti a Kabul il 19 marzo del 2015. Il suo corpo è stato bruciato a pochi chilometri dal palazzo presidenziale. Questo omicidio ha dimostrato che i grandi proclami degli USA e di governi occidentali, media e loro burattini afghani sui diritti delle donne sono soltanto bugie per giustificare la guerra e l’occupazione.

Sfortunatamente assistiamo a omicidi, stupri, lapidazioni, mutilazione di naso e orecchie, pestaggi nella pubblica piazza e fustigazioni, oltre a processi per “crimini contro la morale”, tossicodipendenza, matrimoni forzati, attacchi con acido contro le ragazze, violenza domestica, attacchi contro studentesse, avvelenamenti… Gli autori di questi atti barbari non vengono perseguiti perché i fondamentalisti al potere sono ugualmente misogini. E la misoginia animale dei talebani e di altri lacchè di Iran, Pakistan e Arabia Saudita è ben nota.

L’unica differenza nell’era post-talebani nel mio Paese è che adesso c’è una manciata di donne al governo e in Parlamento e la cosiddetta società civile che serve da pezzo forte alla propaganda occidentale per dimostrare “la liberazione delle donne afghane” al mondo. La maggior parte di queste donne non rappresenta le donne sottomesse, ma rappresenta piuttosto i signori della guerra al potere, il cui unico proposito è servire i loro signori stranieri per guadagnare dollari. I diritti delle donne non hanno alcuna importanza per loro, perché loro sono parte del problema.

 

RDG: Tu hai senz’altro aperto la via all’empowering delle donne. Qual è stata la reazione delle donne, come si stanno organizzando?

MJ: Ho ricevuto grande appoggio da donne di diverse generazioni, specialmente famiglie che sono state vittime della guerra per decenni. Il mio messaggio alle donne del mio Paese è sempre stato che la chiave della libertà delle donne è conquistare consapevolezza e organizzazione: le donne devono spezzare le catene che legano le loro mani, piedi e menti, e unirsi per ottenere i loro diritti, come le coraggiose donne kurde la cui lotta è davvero epica. Gli sforzi per organizzare le donne la cui sofferenza è dieci volte maggiore, è un compito estremamente difficile. Queste donne sono analfabete, non hanno consapevolezza e sono costrette da innumerevoli altre forme dolorose di oppressione nella società maschilista, sciovinista e feudale. Il primo passo per organizzare queste donne è l’educazione e la consapevolezza politica e sociale e quindi coinvolgerle nei settori economici. Sfortunatamente, le nostre donne sono molto lontane dall’ottenere questi requisiti basilari per potersi organizzare in una forza potente e inarrestabile. Il che comunque non significa che è impossibile o fuori della realtà. Se crediamo che il cambiamento sia inevitabile, dobbiamo anche credere che il cambiamento viene dalla lotta rivoluzionaria del popolo, soprattutto dalle donne. Questo non può accadere e non accade senza un’organizzazione strutturata.

 

RDG: Si fa un gran parlare del bisogno di una organizzazione globale delle donne, una rete che sarebbe in grado di attivarsi quando accade qualcosa in questo o quel Paese. Pensi che ci stiamo arrivando? O detta in un altro modo: credi che ci sia abbastanza solidarietà e sostegno concreto da parte delle organizzazioni delle donne in giro per il mondo con i problemi delle donne afghane? Credi le donne anche nei vari governi, parlamenti o associazioni e gruppi stiano facendo la loro parte per sostenere le donne afghane, e del Medio Oriente? A livello personale, ti senti sola?

MJ: Credo fermamente nella solidarietà internazionale di uomini e donne nel mondo e mi aspetto che stringano la mano alla gente oppressa dell’Afghanistan, soprattutto alle forze e persone progressiste nel mio Paese. Non mi sono mai sentita sola in questa lotta così importante. Fortunatamente la gente meravigliosa di tanti Paesi nel mondo non mi ha lasciata sola e il loro grande sostegno mi dà sempre più speranza e determinazione. A nome della mia gente, ho ricevuto il sostegno di tante persone che amano la pace, che sono contro la guerra, di organizzazioni laiche, di sinistra, femministe, di personalità di tanti Paesi diversi.

Detto questo, le donne del mondo devono ancora riuscire a costruire questa importante rete e ce ne manca abbastanza. La maggior parte delle donne nel mondo occidentale subisce un lavaggio del cervello da parte della grande propaganda dei loro mezzi di comunicazioni disonesti, che le spingono lontane dalla realtà del nostro Paese e così non si schierano al fianco delle donne che soffrono e lottano in Afghanistan. Ci sono poche organizzazioni che non hanno chiuso gli occhi di fronte al dolore delle donne afghane e le sostengono in modi diversi. Dobbiamo ricordare che la solidarietà internazionale accorcia la grande distanza della lotta per raggiungere obiettivi diversi.

Vale la pena sottolineare che la rete di ONG internazionali e organismi come l’ONU sono stati deboli nel migliorare la situazione delle donne afghane per molte ragioni. Mentre proclamano i loro slogan per l’alfabetizzazione e l’empowerment delle donne, i loro progetti e obiettivi sono a corto termine e nella linea degli interessi strategici dei Paesi che li finanziano, come gli USA, il Regno Unito, la Francia, la Germania. Quindi naturalmente non risolvono alla radice la causa di una situazione disastrosa. Questi organismi sono contro la lotta politica che è la risposta ai problemi delle donne afghane. Non c’è democrazia, libertà e progresso se le donne non prendono coscienza e cominciano a lottare per i loro diritti politicamente, in modo da cambiare la situazione del Paese a loro favore.

 

RDG: Gli Stati Uniti e i loro alleati nell’Occidente hanno lanciato un nuovo tipo di crociata alla fine degli anni Novanta. Non più, come nella guerra precedente, per “riscattare” i valori cristiani e nemmeno per lottare contro il “mostro” del comunismo, Questa volta il nemico dichiarato era l’Islam, e gli obiettivi quelli di liberare le donne asservite dai talebani e, più in generale, di “esportare la democrazia”. A tanto tempo di distanza, si può dire che questi obiettivi siano stati davvero perseguiti?

MJ: L’Afghanistan è stato il primo Paese ad assaggiare la “democrazia” e la “liberazione delle donne”, attraverso le bombe degli USA e delle altre potenze occidentali, culminati nell’invasione e occupazione del nostro Paese da parte di oltre 40 Paesi. Questa guerra non avrebbe potuto essere più ipocrita, perché sono stati gli USA che hanno creato e nutrito i diversi gruppi fondamentali come i talebani e perfino al-Qaeda. I talebani e i jihadisti hanno commesso crimini ignobili contro la nostra gente per oltre dieci anni. Ma, dopo aver rovesciato i talebani nel 2001, gli USA hanno insediato fondamentalisti ancora più selvaggi, i jihadisti, al potere. Nell’ultima decade e mezza le forze straniere hanno massacrato la nostra gente, l’hanno uccisa senza pietà, arrestata e torturata, ma soprattutto hanno appoggiato i nemici peggiori del nostro popolo, i signori della guerra Jehadi al governo e i loro comandanti e sotto comandanti in tutto l’Afghanistan. In questo momento, la maggior parte dei gruppi influenti al governo e quelli sostenuti dall’Occidente sono i responsabili delle brutalità contro la nostra gente, che in una società giusta sarebbero in prigione. Alcuni di loro, Abdullah, Rasol Sayyaf, Qannoni, Hadi Arghandewal, Bismullah Khan, Atta Mohammad, Mohammad Mohaqiq, Karim Khaliliand e molti altri, sono le persone più odiate nel Paese e quelle implicate in crimini di guerra, saccheggio e corruzione. Il cosiddetto “macellaio di Kabul”, Gulbuddin Hekmatyar, ha ottenuto l’indulto grazie a un accordo sponsorizzato dall’ONU, ed è stato ricevuto a Kabul con tutti gli onori dai rappresentanti di USA, NATO, Nazioni Unite e dal loro regime fantoccio dell’attuale presidente Ashraf Ghani. L’Unione Europea sta pagando per la sua vita lussuosa a Kabul, oltre che per la sua sicurezza.

 

RDG: La politica tradizionale è sempre meno attrattiva e partecipata. A livello macro, la politica sembra essere tutta legata a interessi geopolitici ed economici, mentre le persone continuano a morire e soffrire per quelle scelte che cadono dall’alto e che appaiono impossibili da modificare. C’è una speranza da alimentare e costruire?

MJ: Sì, penso che ci siano sempre luce e speranza, non importa quanto scuro e quanto lungo sia il tunnel. Credo, e la storia ce lo ha dimostrato, che l’oppressione non può prevalere per sempre, ci sarà sempre la lotta rivoluzionaria delle masse che spezzerà il giogo degli oppressori, non importa quanto potenti essi siano. Oggi, la prova di ciò, e una fonte di speranza e ispirazione, è la lotta unita e organizzata delle coraggiose donne e uomini del Kurdistan, contro il brutale Isis e contro il regime dittatoriale di Recep Tayyip Erdogan. Ma ci sono altre lotte simili nel mondo, in America Latina, in India, in Iran.

 

RDG: Come sta reagendo la giovane generazione di donne in Afghanistan, queste donne che erano bambine nel 2001 e hanno sofferto forse più di tutte questa guerra infinita?

MJ: Le generazioni più giovani hanno visto solamente guerra, occupazione, distruzione, esodo e innumerevoli altri dolori. Come ho detto prima, l’organizzazione della gente è il compito più arduo, ma i giovani sono la nostra miglior speranza. Se decenni di guerra hanno distrutto un sacco di cose, hanno anche fatto crescere la consapevolezza nella gioventù. I giovani possono prendere il destino nelle loro mani e costruire un futuro migliore per il nostro Paese, soltanto attraverso una lotta organizzata. Soltanto una piccola frazione della nostra generazione più giovane ha subito il lavaggio del cervello da parte degli USA e delle altre potenze imperiali, ma la grande maggioranza è contro l’occupazione, contro il fondamentalismo e vuole un cambio radicale nella società.

 

RDG: Per concludere, parliamo un momento della tua situazione personale. Come stai?

MJ: La mia vita è difficile perché continuo a lottare. Non possono vivere con la mia famiglia e con mio figlio perché sono costretta a cambiare casa continuamente. Non posso viaggiare liberamente, nonostante abbia bisogno di farlo. Non posso partecipare ad attività pubbliche come vorrei per far sentire la mia voce, che è il mio proposito fondamentale. Nonostante tutto questo, però, sento che la mia vita perderebbe significato senza la lotta, e queste pesanti difficoltà allora diventano solo un sassolino nel cammino che ho intrapreso.

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Malalai Joya: è nata il 25 aprile 1978 ed è una politica, attivista e scrittrice afghana. È stata eletta al Parlamento afghano dalla provincia di Farah. Il 17 dicembre 2003 aveva denunciato nell’assemblea la presenza, in Parlamento, di signori e criminali di guerra. Vive da allora sotto costante minaccia di morte, costretta a cambiare casa continuamente. Nel 2007 è stata sospesa dal suo ruolo di deputata con il pretesto che avrebbe insultato un altro deputato durante una trasmissione in televisione. Ha pubblicato il libro Finché avrò voce. La mia lotta contro i signori della guerra e l’oppressione delle donne afghane (Piemme, 2010).

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