Più stabilizzazioni e meno precariato, il decreto Dignità sembra funzionare

by Massimo Franchi * | 22 Febbraio 2019 9:19

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Il decreto Dignità sembra funzionare: i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps a dicembre registrano un aumento delle stabilizzazioni da contratti precari a tempi indeterminati.

Il primo decreto voluto a luglio dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio e scritto in buona parte – almeno nella forma originaria – da quel Pasquale Tridico che ieri è stato ufficialmente designato come commissario proprio dell’Inps, ha concluso la sua fase transitoria a novembre e dunque i dati di dicembre sono particolarmente significativi. Gran parte delle imprese infatti non ha più potuto prorogare e rinnovare i contratti a tempo e si è trovata davanti all’alternativa fra stabilizzazione e licenziamento.
I dati resi noti ieri mattina mostrano che da quando il decreto Dignità è pienamente operativo (da novembre in avanti è scaduta la fase transitoria) le trasformazioni sono più che raddoppiate: nel biennio novembre-dicembre del 2018 rispetto al 2017 sono passate da 52 a 114mila per i contratti a termine. Per contralto, il numero di assunzioni «precarie», quindi a termine, è drasticamente sceso in confronto al 2017: oltre 57 mila unità in due mesi. Allo stesso modo, da agosto in avanti, sono crollate anche quelle in somministrazione, apprendistato, stagionali e intermittenti. Insomma, tutte le tipologie contrattuali precarie hanno il segno meno davanti.
Anche il dato annuale è positivo: nel 2018 le assunzioni dei datori privati sono state 7.424.293 (+5,1% sul 2017), a fronte di 6.993.047 cessazioni (+6% sull’anno precedente), con un saldo positivo di 431.246 contratti (-7,4% rispetto a +465.587 del 2017). La variazione netta sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato (assunzioni più trasformazioni meno cessazioni) risulta pari a +200.450 contratti; su quelli a termine +52.008. Si conferma dunque un vero e proprio boom delle trasformazioni da tempo determinato a indeterminato nell’anno: ben il 76,2% in più. Nel 2018 infatti si registra, rispetto al 2017, «un importante incremento» delle trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato, che risultano quasi raddoppiate: da 299.258 a 527.333, ossia 228.075 in più.
«Sono i primi effetti del decreto dignità e mi danno tanto entusiasmo per andare avanti su questa strada», festeggia Luigi Di Maio in un post su Facebook. «So bene che il problema non è risolto, ci sono ancora troppi precari che meritano una vita migliore, la strada da compiere è ancora lunga ma oggi, quantomeno, sappiamo di aver preso quella giusta», sottolinea, ricordando anche che era stato «chiamato ministro della disoccupazione», mentre «la mia principale missione da ministro è combattere la precarietà con tutte le mie forze perché sono convinto che se una persona vive serenamente e può programmarsi un futuro con la sua famiglia ne beneficia tutta la società, sia in termini di felicità che di ricchezza», conclude.
Il Pd attacca questi dati usando lo stesso schema dei tempi del Jobs act: mettere in contrapposizione i dati dell’Inps – che riguardano le attivazioni di contratti – con quelli dell’Istat – che misurano le persone e l’occupazione.
Tocca alla poco competente Maria Elena Boschi rispondere a Di Maio sui social. Da quando il governo è insediato, meno persone lavorano e meno persone hanno un posto fisso. I dati citati da Maria Elena Boschi sono quelli dell’Istat: da maggio (entrata in carica del «governo del cambiamento») a oggi gli occupati sono scesi di 72 mila unità e in particolare quelli a tempo indeterminato sono scesi di 122 mila.
Quello che da entrambi gli sistituti è più difficile capire è quanti lavoratori in scadenza di contratto si siano «persi» e, dall’altra parte, cosa succeda a chi un lavoro oggi non ce l’ha e spera di averlo. Solo con un orizzonte temporale più ampio sarà possibile capire se le aziende, di fronte all’irrigidimento delle regole, si limiteranno a mantenere i contratti in essere, con il risultato però di mantenere immobile l’occupazione, mentre serve crescita economica per creare nuovo lavoro.
D’altro canto l’Osservatorio Inps denuncia che nel 2018 sono state presentate oltre due milioni di domande di disoccupazione e mobilità, un numero in aumento rispetto al totale di 1,93 milioni del 2017 (+5,8%).

Fonte: Massimo Franchi, il manifesto[1]

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