Approvato definitivamente «Reddito di cittadinanza» e «Quota 100», il governo dei poveri è legge
A un soffio dalla scadenza, il «decretone» che istituisce il sussidio pubblico in cambio di lavoro obbligatorio e incentivi alle imprese – detto impropriamente «reddito di cittadinanza» – le «pensioni di cittadinanza» per gli over 67 e le pensioni anticipate «quota 100» è stato approvato ieri dal Senato in modo definitivo con 150 voti a favore, 107 contrari e 7 astenuti.
CON UN PERCORSO parlamentare tortuoso e un futuro incerto la misura-bandiera che i Cinque Stelle sventoleranno alle elezioni europee sarà erogata a partire dai primi di maggio e resterà in attesa che l’imponente apparato del controllo, sorveglianza e attivazione dei «poveri assoluti» predisposto dal governo tramite i centri per l’impiego entri in funzione. Nel frattempo gli stranieri extra-comunitari residenti da meno di 10 anni sono stati esclusi e ai restanti aventi diritto la vita è stata resa ancora più complicata perché dovranno chiedere la certificazione patrimoniale e del reddito dai paesi di provenienza.
IL «REDDITO» è stato presentato ieri, di nuovo, come una «rivoluzione del Welfare». Il momento è stato celebrato con brindisi e selfie, mentre esponenti pentastellati hanno inneggiato «all’Italia e alla vittoria». «Siete stati grandi» ha detto Conte che ha pagato il conto dei prosecchi da 100 euro. Pur non avendo eguagliato il momento del balcone di Palazzo Chigi, tanta enfasi ha celebrato in realtà la svolta punitiva dello stato sociale in Italia.
IL SENATO HA APPROVATO una misura che prevede un’ulteriore stretta sui «finti divorzi» e per i genitori single; l’assunzione di carabinieri e guardia di finanza per controllare i redditi Isee e i comportamenti di acquisto tramite la «carta del reddito», tasselli che si aggiungono al mosaico contenente la minaccia di pene fino a sei anni di carcere in caso di false dichiarazioni. Sono i primi passi per sospettare i richiedenti «reddito» di comportamenti opportunisti, fino a prova contraria. L’esame sarà continuo, prevede premi e punizioni. Durerà, teoricamente, 18 mesi in cui i beneficiari lavoreranno obbligatoriamente fino a 16 ore a settimana per gli enti locali (in sostituzione di personale contrattualizzato, presumibilmente); dovranno formarsi e rispondere a un’offerta di lavoro su tre entro 100 km da casa nei primi 6 mesi, 250 in 12 mesi, poi ovunque.
LA MOBILITÀ FORZATA della forza lavoro, insieme alle 16 ore di lavoro obbligatorio, sono un’eccezione nei sistemi di «workfare» esistenti. Tranne l’Ungheria di Orban, dove esiste un sistema di «lavori pubblici», non risulta una simile «rivoluzione» in Europa. I populisti penta-leghisti hanno inaugurato il più duro governo dei poveri. Più grave è la crisi sociale, più autoritario è il controllo sui poveri. Sulla carta. L’applicazione sarà un’altra storia.
LE INGENTI RISORSE, stanziate in deficit, finanzieranno un «reddito» su basi familiari e i patrimoniali, non in ragione del riconoscimento di un diritto sociale fondamentale della persona indipendentemente dal lavoro, tra l’altro presente nella carta di Nizza. Il «reddito» non sarà di 780 euro, ma non sarà inferiore a 480. Valori alti che hanno indurito le condizioni richieste a coloro che, su una platea potenziale di 2,7 milioni (calcolo Istat), saranno disponibili al lavoro. Potrebbero non essere più del 30%. La maggioranza non sarebbe ritenuta in grado di essere «attivata» e dunque rientrerà nelle politiche di contrasto alla povertà, non in quelle dell’inserimento al lavoro. Questo dispositivo si chiama «politiche attive del lavoro». Il suo simbolo sono i 654 precari dell’agenzia Anpal Servizi che dovranno formare i 3 mila «navigator» precari. Insieme dovranno collocare poveri e disoccupati. Se si realizzerà questo paradosso, le imprese riceveranno il «reddito» in forma di incentivo per l’assunzione da un sistema di trasferimento della ricchezza pubblica al capitale simile a quello istituito dal Pd con il Jobs Act.
PRESENTATA come pro-crescita, il «reddito» avrà un impatto modesto sul Pil, ma servirà a occultare la povertà, a diminuire il tasso di inattività e aumentare quello di occupazione. Il governo potrà dire di avere «sconfitto» la povertà. Come in altri paesi, anche l’Italia potrà riconoscere il rischio della «trappola della povertà». In questi dispositivi di controllo sociale è facile entrare, ma è più difficile uscirne.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
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