Mina-TAV. Il nuovo progetto non ferma il movimento

by Maurizio Pagliassotti * | 2 Marzo 2019 10:11

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TORINO. La mini Tav è la trasformazione della Torino-Lione nella Milano-Lione. O Novara-Lione. Nel progetto della più controversa delle grandi opere, almeno per come è stata ideata oltre trenta anni fa, il binario ad alta velocità-capacità che corre da est a ovest, laddove la val Susa si trasforma in una ampia pianura, piega inspiegabilmente verso sud. Questo perché i binari devono raggiungere l’interporto Orbassano, gigantesco polo logistico che fin dalla sua nascita negli anni ottanta infiniti problemi ha collezionato.

Nella prospettiva post industriale della città dell’automobile l’interporto di Orbassano – per altro recentemente messo sul mercato proprio dalla Regione Piemonte che venderà il 30% della sua quota di maggioranza – dovrebbe diventare una piattaforma capace di intercettare i flussi merce che si muovono sulla direttrice est ovest che, però, vanta flussi merce languenti da almeno dieci anni.

Il progetto della mini Tav, semplicemente, taglia via il polo di Orbassano e fa correre i binari oltre Torino, alla volta di Novara o Milano, più vicino alla nuova maxi tratta del Terzo Valico, recentemente confermata dal governo a dispetto di una valutazione costi-benefici ampiamente negativa.

Il tunnel di base da quasi sessanta chilometri ovviamente sarebbe confermato. La nuova Tav, una volta sbucata nella piana di Susa, si innesterebbe sulla linea storica, incappando nel cosiddetto «paradosso dell’imbuto»: nonostante la sezione gigante del tunnel di base, la portata massima dell’intera tratta rimarrà quella della sua sezione minore, cioè la linea storica. Che, paradossalmente, oggi è sovradimensionata rispetto ai reali flussi di traffico.

Verrebbe anche tagliata la nuova, e fantascientifica, stazione di Susa, ma sopratutto il tracciato «mini» non sventrerebbe la collina morenica alle porte di Torino, «salvando» così Rivoli e Rivalta, due grossi centri dove il tracciato si mangerebbe centinaia di ettari di terreno agricolo. La mini Tav porterebbe un risparmio di circa un miliardo di euro.

La somma della «nuova» analisi costi benefici, meno le «penali «previste dal documento prodotto dall’avvocatura dello Stato, meno i risparmi del nuovo progetto, portano il risultato finale vicino all’agognato segno più.

Per il movimento Notav non cambierebbe nulla, e chi nel governo pensa di vendere la mini Tav come un punto di caduta, sogna. Il movimento contesta l’utilità dell’opera in sé, a prescindere dai risparmi. Escluso qualche fanatico del M5S, vi sarebbe una dura opposizione in val Susa e a Torino, dove semplicemente si continuerà a manifestare in strada.

A pagarne il prezzo politico sarebbe anche la sindaca 5 Stelle di Torino Chiara Appendino: la sua maggioranza, compatta sul «no» a ogni Tav, probabilmente collasserebbe. Ieri sera, la capogruppo dei pentastellati in Comune, Valentina Sganga, per dare un’idea delle loro intenzioni bellicose ha lanciato la campagna social «stop bandi Tav».

Il progetto Tav è stato più volte cambiato nella sua trentennale storia, ma il cuore del conflitto rimane e rimarrà il tunnel di base da 57 chilometri. Mai nessuno è riuscito a far cambiare idea al movimento, anche in virtù delle migliaia di processi penali che hanno colpito la comunità Notav in quasi trenta anni di lotta.
Nel progetto mini Tav emerge in controluce il calcolo politico del vicepremier Matteo Salvini che, offrendo una inesistente via di fuga all’alleato di governo, sposta importanti interessi economici verso il novarese e la Lombardia.

Torino, con il nuovo progetto si trasformerebbe in ciò che teme di essere la val Susa: un corridoio dove i treni passano senza lasciare nulla.

* Fonte: Maurizio Pagliassotti, IL MANIFESTO[1]

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