Niente reddito di cittadinanza a condannati e imputati per mafia o terrorismo
Workfare all’italiana. Emendamento al decretone “reddito-quota 100” in discussione alla Camera. Per i reati di mafia o terrorismo la presunzione di non colpevolezza non vale
Continuano gli emendamenti tesi a peggiorare ulteriormente il meccanismo del «reddito» e a restringerne la platea dei potenziali beneficiari. Dalila Nesci (M5S) ed Elena Murelli (Lega) ne hanno presentato uno in commissione lavoro e affari sociali della Camera presto ribattezzato «anti-Spada».
Obiettivo: sospendere il sussidio in caso di condanne per reati di tipo mafioso o terroristico, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, attentato contro organi costituzionali o assemblee regionali. Il decreto già prevedeva la sospensione ai soggetti condannati per questi reati in terzo grado, l’emendamento vuole che scatti al primo.
Nonostante il principio della presunzione di non colpevolezza: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» (art. 27 Costituzione). Questa proposta di irrigidimento dell’erogazione del sussidio nasce dalla polemica scatenata nei giorni scorsi da una presunta richiesta avanzata al Caf Cisl di Ostia da presunti appartenenti all’associazione mafiosa facente capo alla famiglia Spada. Sebbene successivamente non siano arrivate conferme dell’episodio, la macchina del populismo penale gialloverde ha acceso subito i motori.
L’emendamento aggiunge un altro tassello: interrompere il reddito a chiunque riceva una misura cautelare. Spada o non Spada.
* Fonte: IL MANIFESTO
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