Sulle droghe, una sentenza della Consulta ferma Salvini
C’è un ministro, il solito Salvini, che vuole alzare le pene per lo spaccio di droga ed eliminare i casi di lieve entità. E c’è una Corte costituzionale che, con sentenza depositata ieri, stabilisce l’incostituzionalità della pena minima di otto anni per i casi ordinari di spaccio. Perché pena troppo alta, dunque contraria ai principi di proporzionalità e ragionevolezza (rispetto alle altre pene) e perché in contrasto con la funzione rieducativa della detenzione. Dalla Consulta arriva uno stop alle intenzioni del ministro dell’interno, annunciate appena lunedì scorso. Stop preventivo, visto che il disegno di legge della Lega non è stato ancora depositato in parlamento.
La Corte costituzionale è intervenuta sulla base del ricorso presentato dalla Corte di appello di Trieste; l’imputato in primo grado è stato condannato a quattro anni per il possesso a fine di spaccio di cento grammi di cocaina. Ha stabilito che la pena minima di otto anni di reclusione attualmente prevista per lo spaccio nei casi di non lieve entità è troppo alta perché pari al doppio di quella massima, quattro anni, prevista per i casi di lieve entità (la lieve entità è relativa alla quantità e qualità delle sostanze). Secondo i giudici delle leggi, redattrice Marta Cartabia, l’esistenza di una così ampia divaricazione condiziona il giudice di merito che deve sanzionare i tanti casi che si collocano in una «zona grigia» tra la lieve e la non lieve entità.
La Consulta è intervenuta con una sentenza «manipolativa additiva» che ha sostituito alla pena minima di otto anni quella di sei, desumendola da altre disposizioni di legge. Ha dovuto farlo perché il quadro legislativo sulle droghe è particolarmente complicato, soprattutto a seguito di una sentenza della stessa Corte che nel 2014 ha cancellato la Fini-Giovanardi. E tornata così la distinzione della Jervolino-Vassalli tra droghe pesanti e droghe leggere, e per quanto riguarda le prime la distinzione tra la pena di otto-venti anni per i casi più gravi e uno-quattro anni per i casi meno gravi. In origine anche per i casi meno gravi la pena massima era di sei anni, ma due successivi interventi al di fuori della legge Fini-Giovanardi (che era la conversione di un decreto sulle Olimpiadi di Torino…) hanno abbassato la pena edittale a quattro anni e sono rimaste in vita anche dopo la sentenza di incostituzionalità del 2014.
Per la Corte costituzionale l’intervento «additivo», inconsueto, si è reso indifferibile perché «è rimasto inascoltato il pressante invito rivolto al legislatore affinché procedesse rapidamente a soddisfare il principio di necessaria proporzionalità del trattamento sanzionatorio», invito contenuto in una sentenza della Consulta del 2017. Una risolutezza di intervento che indica una possibile strada anche sul fine vita, visto che nel decidere sul caso Cappato-DJ Fabo la Corte ha lanciato una simile sollecitazione al parlamento. Fin qui vana.
«È una sentenza in controtendenza alle derive populiste, il diritto non può affidarsi a categorie ad esso estranee – ha commentato Patrizio Gonnella di Antigone -, la Corte ci ricorda come in ambito penale il faro debba essere la proporzionalità e la funzione rieducativa». «Dalla Consulta è arrivata la migliore risposta agli annunci di Salvini», ha aggiunto l’ex senatore radicale Marco Perduca.
* Fonte: Andrea Fabozzi, IL MANIFESTO
Foto: Pixabay CC0 Creative Commons
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