Egitto. Il Parlamento approva la nuova costituzione: al Sisi al potere sino al 2030

Egitto. Il Parlamento approva la nuova costituzione: al Sisi al potere sino al 2030

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Come ampiamente prevedibile, martedì Abdel Fattah al-Sisi ha incassato a stragrande maggioranza il sì definitivo del parlamento alla sua riforma della costituzione che, tra le altre cose, gli permetterà di rimanere al potere fino al 2030. 531 i votanti a favore sui 554 presenti in aula, solo 22 contrari e una deputata astenuta. Il voto è stato palese, per alzata di mano, con tanto di sventolio di bandiere egiziane e canzoni patriottiche in sottofondo, secondo il quotidiano di stato al-Ahram. Non è mancato anche un piccolo teatrino riportato dalla stampa locale, quando l’aula si è infuriata alle parole di uno dei deputati della striminzita opposizione che aveva dichiarato: «Non amo il presidente e non mi fido del suo lavoro», parole fatte prontamente rimuovere dai verbali dell’assemblea.

Discussione e votazione finale sono state compresse in unica giornata, ufficialmente per permettere ai deputati di tornare alle proprie circoscrizioni «per spiegare la riforma». Le modifiche infatti per entrare definitivamente in vigore dovranno essere sottoposte a referendum, che presumibilmente potrebbe già svolgersi la prossima settimana. La riforma prevede un’estensione del mandato del presidente da quattro a sei anni, che si applica retroattivamente concedendo ad al-Sisi di restare in carica fino al 2024 anziché il 2022, e contiene anche una norma transitoria che gli permetterà di candidarsi per un terzo (e ultimo) mandato alla scadenza di quello attuale.

TRA LE MODIFICHE più importanti anche alcuni articoli che ampliano i poteri del presidente sulla magistratura. Secondo la nuova costituzione il capo dello stato nominerà direttamente alcune tra le massime cariche del potere giudiziario, il quale (anche se già fortemente allineato) non ha mancato negli ultimi anni di riaffermare la propria indipendenza, ostacolando in alcuni casi i piani del regime. Viene estesa inoltre la giurisdizione delle corti militari sui civili.

A preoccupare di più è il nuovo ruolo attribuito all’esercito, che da protettore della sicurezza e dell’integrità della nazione diventa garante “della democrazia e della Costituzione, dei principi fondamentali dello stato e della sua natura civile, dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone”. Una definizione inedita nella storia egiziana, e così vaga da lasciare aperte, secondo molti critici, infinite possibilità di intervento per le forze armate in qualsiasi ambito della vita politica. Per i suoi sostenitori la riforma è necessaria per permettere ad al-Sisi di portare a termine le sfide intraprese dopo colpo di stato del 2013, e in particolare le riforme economiche, la lotta al terrorismo e i grandi progetti di sviluppo. Tutti terreni in cui finora in realtà il regime spicca per i suoi lampanti insuccessi.

SECONDO Human Rights Watch la riforma «istituzionalizza l’autoritarismo». Per silenziare qualsiasi voce contraria, negli ultimi giorni il regime ha oscurato ben 34.000 siti internet, comprese pagine che non hanno nulla a che fare con l’attivismo. Una petizione online contro la riforma costituzionale, sostenuta da un ampio spettro di forze politiche e sociali e personalità pubbliche, aveva infatti raggiunto in poche ore 60.000 firme. Il sito, anche se bloccato in Egitto, è ancora facilmente raggiungibile, e il numero di sottoscrizioni continua a crescere di ora in ora e ha già quasi raggiunto le 350.000.

«IL REGIME di al-Sisi si comporta come un piccolo coniglio spaventato», ha scritto David Hearst su Middle East Eye. In uno scenario quasi orwelliano, nelle ultime settimane (prima ancora che gli emendamenti fossero definitivi) le piazze e le strade del Cairo sono state già tappezzate da centinaia di striscioni che invitano a «fare la cosa giusta» e votare «Sì» al referendum. In un reportage Mada Masr ha rivelato che molti commercianti sono stati raggiunti da membri delle forze di sicurezza e pagati tra le 2000 e le 8000 lire egiziane (100-400 euro) per esporre manifesti a proprio nome a favore della riforma. La vera sfida per il regime infatti non sarà vincere un referendum dall’esito scontato, ma riuscire a portare alle urne un numero di persone sufficiente a legittimare la svolta autoritaria del rais. Cosa non facile in un paese in cui prevalgono ormai apatia e distacco rispetto alla scena politica. E mentre una parte delle opposizioni invita al boicottaggio, il movimento dei Socialisti Rivoluzionari si schiera per un «No» come «primo passo per costruire un’opposizione contro al-Sisi».

* Fonte: Pino Dragoni, IL MANIFESTO

photo: U.S. Department of State from United States [Public domain]



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