In Algeria è in corso una rivolta di classe

In Algeria è in corso una rivolta di classe

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In un’interessante comparazione tra le sollevazioni in Sudan ed Algeria, i Socialisti Rivoluzionari egiziani hanno correttamente evidenziato come la prima sia stata ‘accesa’ dalle proteste di natura economica, mentre la seconda abbia preso avvio da un movimento politico, inizialmente concentrato nell’evitare un quinto mandato presidenziale di Abdelaziz Bouteflika. Il successo di entrambe – almeno nello sconfiggere il vertice politico – è stato però il prodotto di una fusione, nel corso delle sollevazioni stesse, dell’ala economica del movimento di protesta con la sua componente politica, dando vita a qualcosa di molto simile a quanto Rosa Luxemburg avrebbe descritto come uno sciopero di massa.
IL FATTO CHE la sollevazione algerina sia emersa a partire dalle vibranti contestazioni verso un presidente incapace di governare e, più in generale, nei confronti di un sistema autoritario, corrotto e nepotistico, non deve però portare a sottovalutare la natura profondamente sociale del movimento di protesta. Anzi, sono stati proprio i numerosissimi cortei e scioperi degli ultimi anni che hanno creato quella ‘cultura della protesta’ risultata propizia allo scoppio rivoluzionario.

Molte agitazioni dei lavoratori non sono state però captate dai radar dei giornalisti, spesso propensi a favoleggiare di un’astratta società civile e restii a proporre un’analisi di classe. Inoltre, proprio perché il regime di Bouteflika aveva superato sostanzialmente indenne la tempesta perfetta delle cosiddette primavere arabe del 2010-11, la sensazione generale era quella di un regime stabile, destinato a durare. A partire dal 2013, tuttavia, la talpa rivoluzionaria stava scavando incessantemente alla disperata ricerca di una via d’uscita. Protagonisti di questa montante marea di discontento, tre attori sociali: i dipendenti pubblici nel settore scolastico e sanitario; il sottoproletariato nel sud del paese; ed infine le ‘tute blu’ dell’area industriale.

ALCUNE DELLE AGITAZIONI delle tre ali del movimento di protesta sono diventate esemplificative della crescente accumulazione di energie rivoluzionarie. Il 31 ottobre 2016, ad esempio, i quasi 7 mila operai della grande fabbrica statale di veicoli industriali di Rouïba, non lontana dalla capitale Algeri, hanno cominciato un lungo sciopero contro la mal gestione dell’azienda e le loro precarie condizioni di vita e salariali. Dopo una settimana, ricevendo ampie promesse da parte del governo, i lavoratori hanno ripreso regolarmente le attività. Nel maggio successivo, tuttavia, non appena è emerso come le autorità non avrebbero mantenuto fede agli impegni presi, un imponente corteo di qualche migliaio di operai ha attraversato le strade della città industriale di Rouïba, dando nuova prova del carattere militante delle ‘tute blu’.

IL SETTORE che è risultato la vera e propria spina nel fianco del regime è però stato quello dei lavoratori pubblici. Una protesta può essere ricordata come paradigmatica al riguardo: ovvero, la lunga marcia degli insegnanti precari da Béjaia ad Algeri, per un totale di circa 250 chilometri nel marzo del 2016. Durante gli otto giorni del corteo, infatti, una diffusa solidarietà con la protesta, volta a reclamare maggiori finanziamenti per l’istruzione pubblica, si è diffusa nelle cittadine raggiunte da quella che è stata subito ribattezza la ‘marcia della dignità’, ricevendo anche ampia copertura dai media non allineati.

INFINE, in risposta al tentativo del regime di utilizzare le tecniche di fracking per l’estrazione di idrocarburi, è esplosa, nel corso del 2015, una sollevazione durata ben quattro mesi nel remoto sud dell’Algeria. Emersa come una protesta di natura ambientalista, questa nascondeva in realtà un forte carattere sociale contro la marginalizzazione della parte meridionale del paese, ricchissima di risorse naturali, ma costantemente dimenticata dall’élite costiera, e colpita perciò da sottosviluppo, disoccupazione e mancanza di opportunità per le nuove generazioni.

PROTESTE che non hanno deterministicamente portato al movimento di contestazione contro il quinto mandato di Bouteflika. Hanno però creato un clima favorevole alla sua emersione. Inoltre, nel corso della sollevazione contro l’anziano e malato presidente, sono stati proprio quei settori che erano emersi come particolarmente combattivi negli anni precedenti che hanno fornito una sponda sociale al movimento politico, garantendo l’allargamento delle proteste e mettendo sotto pressione gli apparati statali.

Questi, nel tentativo di placare la piazza, hanno quindi scaricato il presidente, sperando di salvare se stesse ed il sistema nel suo complesso. Quanto questa manovra avrà successo è incerto ed in gran parte dipendente dalla capacità del regime di evitare che l’ala ‘politica’ ed ‘economica’ del movimento diano vita nuovamente ad un momento unico di insurrezione generale.

* Fonte: Duccio Pogni, IL MANIFESTO



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