Mediterranea ha reso pubbliche registrazioni con i libici «che incastrano l’Italia»

by Giansandro Merli * | 19 Aprile 2019 8:38

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Mediterranea ha reso pubbliche le conversazioni tra il centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma e i referenti a Tripoli acquisite durante le indagini difensive nel procedimento che riguarda Luca Casarini, capo della missione, e Pietro Marrone, comandante della Mare Jonio

 

Cosa avete denunciato?
Queste conversazioni presentano dei profili inquietanti. Dalla centrale operativa libica non meglio definita risponde un signore che non parla inglese, non ha idea di cosa sta chiedendo il centro di coordinamento italiano e mentre la gente rischia la vita in mare riesce solo a dare il numero di un tale Moustapha.

Chi è?
Non si capisce bene ma diventa il protagonista della storia perché è il personaggio che da Roma cercano disperatamente. Tutta la conversazione avviene a bordo della nave militare Carpi, facente parte della missione Naures. Ufficialmente dovrebbe fornire solo supporto logistico, ma è da lì che rispondono al telefono.

Poi che succede?
Dal centro di coordinamento di Roma cercano insistentemente un libico. Dopo molto tempo arriva questo Moustapha, praticamente solo quando c’è da firmare il documento trasmesso successivamente alla Mare Jonio. Da alcune affermazioni come «ho messo la data 18 marzo 2019» sembra potersi desumere che almeno in parte non sia stato compilato dai libici, nonostante lo abbiano firmato loro. Peraltro a noi è stato inoltrato per nome e per conto della guardia costiera libica dall’Italia. Quelle telefonate fanno capire come è stato scritto e questo apre tante domande.

Per esempio?
Per esempio sul ruolo ambiguo svolto dalle autorità italiane e su quello assolutamente insufficiente dei libici. Noi abbiamo depositato le registrazioni alla Procura di Agrigento affinché vengano fatti degli approfondimenti. Potrebbero profilarsi responsabilità gravissime.

In che senso?
Se negli ultimi tempi le cose sono state gestite in questo modo potrebbero venire a galla responsabilità strutturali nei casi di stragi in mare in cui non sono stati effettuati soccorsi. Questa storia la conosciamo attraverso le indagini che ci riguardano, ma viene il dubbio che potrebbero esistere altre segnalazioni a cui dalla Libia viene risposto senza la capacità di comprenderle o a cui magari non segue alcun tipo di azione. Se poi il ruolo dell’Italia fosse così centrale, nei casi in cui delle persone sono morte o sono state riportate in Libia, e per questo costrette a subire trattamenti inumani e degradanti o torture, si profilerebbero dei crimini contro l’umanità che secondo lo Statuto di Roma devono essere trattati dalla corte internazionale dell’Aja. Per ora sono indizi, ma andranno valutati.

Ieri è arrivata a bordo la direttiva «ad navem» firmata dal ministro Salvini. La missione Mediterranea continuerà?
Certamente. Non abbiamo paura delle indagini che ci riguardano, anzi. Nonostante noi non godiamo di alcuna immunità, abbiamo un atteggiamento collaborativo e vogliamo venga fatta luce su ciò che accade. Ci preoccupa di più il tentativo del governo italiano di cambiare i trattati internazionali svelato dall’inchiesta pubblicata ieri da il manifesto. Pare che siccome le Ong rispettano il diritto internazionale, adesso vogliono cambiarlo. In ogni caso in Libia c’è un conflitto militare e una crisi umanitaria di cui nessun governo si sta occupando. Davanti al rischio di migliaia di morti non si può rimanere fermi. Bisogna stare nel Mediterraneo anche perché lì si gioca una partita epocale rispetto alla tenuta dello stato di diritto, al valore dei diritti fondamentali e al rispetto dei principi costituzionali. Una partita che non riguarda solo «i migranti», «gli altri», ma tutti noi, le nostre istituzioni e la nostra società. Nostro malgrado le navi della società civile si sono ritrovate protagoniste di questo scontro. Non ci si può tirare indietro adesso.

* Fonte: Giansandro Merli, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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